venerdì 19 giugno 2009

L'educazione delle scimmie


L’educazione delle scimmie



Personaggi:
Santo, una scimmia
Poldo, un padre di famiglia, proprietario di harem
Donne e bambini indistinti e numerosi
La cuoca
Una dottoressa – può essere la stessa attrice che interpreterà la cuoca


Entra la dottoressa e l’esemplare di uomo(scimmia) – poi l’attore che interpreterà Santo

I primati dal latino “primus”, il migliore, costituiscono un ordine di mammiferi Euteri comprendenti i Lemuri, le Scimmie e l’Uomo moderno. Escludendo l’uomo, che è una specie cosmopolita (l’attore prende con sé una valigia con adesivi di tutti i paesi del globo), oggi sono diffusi in America meridionale e centrale, Africa, Europa (Gibilterra), ed in Asia.
Tutti i primati, dall’Uistitì pigmeo al gorilla, hanno in comune le seguenti caratteristiche:
5 dita su ogni zampa (l’attore mima) con pollice opponibile e corte unghie per una presa salda su rami e cibo.
Una dentatura non specializzata, vale a dire una dieta onnivora. – L’attore prepara la tavola e presenta delle succulenti portate.
Visione a colori e binoculare, con gli occhi cioè rivolti in avanti, per visualizzare bene le distanze in maniera tridimensionale. - L’attore guarda il pubblico, fa smorfie, poi, non contento, va da qualche singolo spettatore, tra cui uno con gli occhiali, gli chiede gentilmente il paio di occhiali, lo indossa, si pavoneggia, ritorna sul palco.
Le specie del Vecchio Mondo tendono spesso a presentare dimorfismo sessuale- appare un’attrice femmina da dietro la schiena -, consistente di solito nelle maggiori dimensioni dei maschi. Questo dimorfismo potrebbe dipendere dal fatto che le scimmie del vecchio mondo tendono a costruirsi harem o a non formare coppie fisse, perciò solo i maschi più grossi e forti riescono a prevalere nella competizione sessuale. – Ingresso delle innumerevoli fanciulle, donne, bambine, qualche maschio ma pochi, installazione della scenografia.

Santo è una scimmia ben inserita nel clima familiare, se non ci fosse, i bambini non si divertirebbero a vestirla come uno di loro. I grandi la lasciano un po’ così a mo’ di giocattolo ma, francamente, quando entra Poldo, il padrone di casa, è assai orgoglioso che anche lei riconosca la sua autorità e gli venga incontro, piena di inchini e carezze, e che voglia attraversare con lui tutta la casupola per controllare che tutto sia in ordine.
Alle donne fa tenerezza, anche se non sanno se trattarlo come un neonato o come un loro marito, al quale assomiglia così tanto, non foss’altro che nell’indipendenza e la precisione con cui inghiotte pop-corn davanti alla televisione.
A Santo la televisione piace, anche se non ci capisce granché. Quando è offeso perché qualcuno lo prende in giro (dato che è vestito come una bamboletta) si aggrotta e si rattristisce, poi si arrampica cupo sopra un ramo in giardino, cercando di fare un po’ la scimmia.
Anche le scimmie si formano un harem, così a Santo non pare strano vivere con il signor Poldo, che di donne ne ha tante come ogni dito del piede e della mano, senza contare le figlie e le sorelle, che nella confusione sono un po’ come amanti.
Santo fa parte di una famiglia nobile, ma non reca con sé nobili effigi perché, pur trattato con tutte le cure, è pur sempre una scimmia, adottato sulla riva del fiume quando era molto piccolo.
Pur non essendo erede legittimo, Santo è però ben conscio del suo ruolo, ogni volta che Poldo è in casa non oserebbe mai entrare o uscire dalla finestra, ma dalla porta sì, come ben lui gli ha insegnato. Quando Poldo non c’è Santo esce dalla finestra.
La cuoca di casa, impregnata di radici contadine, fa un po’ di lagnanze a dover servire una scimmia, e quando è in sua presenza scuote spesso il capo, cosa che Santo non tarda ad imitare, ma bonariamente. I bambini ridono, la cuoca si irrita e ancora si chiede perché tengano una scimmia in casa. Non bastavano tutti questi bambini.
I corridoi pullulano di figli haremitici, i quali da grandi si faranno a loro volta un harem, il quale sarà popolato da altrettanti figli haremitici, l’ultimo dei quali non troverà altro da fare che la rivoluzione, con quel tripudio di nascituri e di esemplari di primati uomini.
Sasha, ultimogenita di Poldo, sogna che l’harem si trasformi in una foresta con le liane, dove tutti, trasformati in scimmia, fossero vestiti da bambola e camminassero in quel modo buffo poggiando le mani per terra.
Santo mangia pure con le mani, a lui non è imposto l’uso delle posate, nonostante che abbia anch’egli i suoi bei pollici opponibili. Per questo ironicamente è stato chiamato Santo, essendo un buon discepolo di Maometto. Coll’Islam Poldo simpatizzava, proprio per il fatto dell’harem. Della religione, quella, se ne infischiava.
La cuoca ha la foto di suo figlio sul comodino, suo figlio che è partito in guerra, ancora non se ne hanno notizie. La cuoca che è cattolica si chiede se Santo sia buono o cattivo, e se andrà all’inferno o no. Queste suggestioni le ispirano fiabe che terrorizzano i bambini ogni sera, sempre mette come protagonista Santo.
I bambini capiscono che nelle narrazioni c’è un certo piacere nel torturare la scimmia almeno con la fantasia, tacciono e si addormentano di colpo, cullati da tutta questa atrocità.
Santo ascolta tutto e guarda addormentarsi i bambini, il suo posto non è lì in mezzo ai giocattoli, guarda allontanarsi a passo obliquo verso l’orizzonte il treno sulla ferrovia, come un vecchio striscia sulle suole di polvere alla quale si attaccano i semi selvatici.
La casa di Santo è in un posto vasto ed immerso nel verde, per fortuna, contatti saltuari con gli altri animali ce ne sono, ma il suo posto non è nemmeno tra questi animali.
A volte guarda l’orizzonte come se avesse qualcosa in comune con quello che impensierisce i nostri poeti.
Ora gli scriviamo romanzi su, e opere teatrali, coraggio! Ci sembra facile entrare nel suo cervello, non contenti di spiare nel nostro. E di imporre al nostro sguardo quel che noi vogliamo sapere di noi stessi.
Ecco, suonano alla porta, dei passi felpati attraversano senza neanche farci caso il corridoio. La cuoca gira gli occhi al suo passaggio, poi riguarda dritto davanti a sé rassegnata, suo figlio non ritornerà dalla guerra. Il padrone di casa entra dal portone, Santo lo raggiunge, non essendo più sé né un altro, prende come tutti i giorni la mano del suo padrone e va a fare il suo giro di ispezione.

domenica 7 giugno 2009

venerdì 5 giugno 2009

Disputa tra una vagina e la sua posseditrice.

(Ispirata all’originale di Salvo Lo Galbo “Disputa tra un pene ed il suo possessore”)

Ehi lei, ehi, là!
“Che c’è, chi parla?”
Son io, più in qua
Che cerco di chiamarla.
“Sei parte del mio corpo eppur del lei
Mi dai?” E come altro potrei
Rivolgermi a fanciulla
In verità un poco citrulla
Sì da non usarmi mai?

“Ma come ti permetti!
Mantieni le distanze!
È colpa, se da stanze
Lubriche mi distanziai?
Che direbbero le amiche?
E i genitori poi, non bussando per entrare
Se trovasseromi te, intenta, a stuzzicare?”

Intanto, non ti lagnare!
Che se di me più pratica tu fossi
Meno staresti lì ad ocheggiare.

“Senti chi sta li a parlare!
Tu che dovresti esser grata
Or t’ha preso di doverti lamentare.”

Mi son stufata! – se permetti –
Io che servo solo per svuotarti la vescica,
per l’appellativo “Una gran fica”
e basta! Almeno che potessi
Ospitare, non dico cose grosse
Ma per lo meno far due mosse
Con intrepidi fanciulli.
O incontri sol citrulli?
Va bene, c’è da conservar l’igiene
Ma a che pro tenermi in catene?

“Se questo è il tuo problema
Allora devo ammettere
Che fosse mia la scelta
Ti farei estromettere!
Non sai tu che gli omastri –come dice la mammina
Al mondo sono troppi
Di quelli che non sanno, trattar con te, vagina
E più che di piaceri si parlerà di intoppi!
Dolori, sangue, e proprio questa è bella:
Se non stai attenta, ti tocca spinger fuori le budella
Per far nascere un bambino
Come il padre, o più, cretino!”

Eh cara, or che m’hai spiegato
Capisco proprio come t’hanno educato,
credere senza provare,
bel modo di campare!
Ma fidati, che da vecchia
Se il fior non avrai colto
Non ci sarà cornacchia
Che vorrà avere dibattito
Con me, tua nume tutelare!
Ahi poi quanti rimpianti
Di non un uomo amare
E chiuder per non rischiare
Il campo ai gentil raccolti!

“Sarà, fors’hai ragione,
Il Nino è proprio un tipo,
Di far con lui ho intenzione
L’amore sotto un fico.”

Ecco il Nino. ( si prepara)

“Aspetta, ohibò che fai?
Non lì, no! Andiamo in un campo più vicino
E discreto, ed ora attendi, carino,
ch’ho da toglier le mutande
ma non al tuo cospetto, s’intende,
e poi…non mi slargare il reggipetto
che ho pagato 40 euro
e che è firmato!
Rovinarlo così, proprio un peccato!
Aspetta che mi devo concentrare
Per potermi rilassare..”

Andiamo bene…

“Sono grassa? Che ne pensi? Parlo troppo?
Ma, come, che cos’è questo galoppo?
Cosa fai? Perché sospiri?
E con gemiti ritiri il tuo strumento?
Io di nulla m’accorsi, non mento!”

Cara mia,
se non stacchi le cervella
E non spegni la favella
Non avrai da lavorare
Per tua madre diventare!

Ma nessuno più mi sente
E la misera s’asconde
A rimpianger tra le fronde.



“Proprio bella!
Prima ch’ero verginella
Tutti lì a farmi la corte
Or, che si diffonde la novella
Mia col nino, nemmeno un cretino
M’ha due parole porte?
E perché le mie amiche
Prima così pudiche
Zitte, zitte, son scoperte
Di due anni almen più esperte?”.