mercoledì 30 novembre 2011

martedì 29 novembre 2011

Il mendicante (Victor Hugo) traduit par E. Della Martire

Un pover'uomo tra la brina e il vento passava
Battei sul mio vetro; lo vidi che aspettava
alla mia porta, che aprii civilmente.
Gli asini riportavano dal mercato la gente
Dei campi in groppa, accovacciata sui basti.
Era il vecchio che vive in una nicchia in fondo
alla salita, e sogna, aspettando, fuori dal mondo,
Un raggio del cielo triste, della terra i dorati resti,
Per l'uomo tendendo le mani, cingendole per Dio.
"Venga a scaldarsi un poco." Gli gridai io.
Come si chiama?" Mi disse: "Mi chiamo
Il povero." Gli presi la mano "Entri, brav'uomo."
Gli feci portare una scodella di latte.
Il vegliardo tremava di freddo; parlava di nuovo,
E gli rispondevo, pensoso e senza ascoltare.
"Il suo abito è bagnato, andiamolo ad appoggiare
Davanti al camino." Si avvicinò al fuoco.
Del suo mantello, mangiato dai vermi, ne restava poco,
un tempo blu, sparso ampiamente sulla calda fornace,
La luce di brace spizzicava mille buchi,
Copriva il focolare mio, e sembrava un cielo nero stellato.
E, mentre seccava quello straccio desolato
Dal quale scorreva la pioggia e l'acqua degli scoli,
Pensavo che quest'uomo fosse pieno di preghiere,
E guardavo, sordo alle nostre chiacchiere,
Il suo saio, tinto di costellazioni.

Riflessioni notturne (proprio necessarie, sìsì..)

Non mi piacciono i Cupcakes.

Invitanti solo esteriormente, non hanno niente di quello che cerco in un dolce:
La condivisione (è così individualista...)
La sorpresa (ti aspetti qualcosa di dolce e burroso e, inevitabilmente, lo avrai)
La genuinità (sembrano finti)
L'attesa dell'invito "Vuoi un'altra fetta di torta?" o "un altro biscotto?" diventa l'attesa di "Vuoi un altro Cupcake?" (che non prenderai, perché uno è troppo completo in sè, e due sono troppi)

Uff...vuoi mettere con quelle torte giganti (non per forza rétro) che si mettono al centro della tavola e dove la prima ditata guasta tutto con dolcezza, commettendo la blasfemìa più bella che ci sia?

lunedì 28 novembre 2011

Sono lì, a quella piccola finestra
E l'aereo non spappola la stella che attraversa
La luna, questa piccola clitemnestra
Ha ucciso la luce suo agamennone
E pulsa adesso come un organo umano inerte.
Nel buio, suo miglior demone
Pascola come gli adepti d'un nuovo credo
Sono lì, (tante volte vedo me che vedo)
Come loro sfilo la processione dei corpi stanchi
E il mio sonno attende un attimo il salto
Di tutti quei passanti immaginari in banchi
Di nebbie adatte a sogni di basalto
Sul primo noctilien che non fa mai troppo tardi.
In alto il sacro cuore, organo anch'esso
Ritira il chiarore lunare e si fa più spesso.
Più reale il suo cranio affusolato
Più reale il turista dal Cristo abbracciato
Che ha smesso di credere e adesso ama soltanto l'arte.

domenica 27 novembre 2011


Giorno di mercato in Place Edith Piaf

sabato 26 novembre 2011

Pesaro II

Pesaro, ho speso e spargo
Riposo sopportabile.
I salmi del porto instabile
E il gelato nel pomeriggio letargo.
Spasmi da caffè e coop a mezzogiorno
Ricerche di solitudine per i moletti
Pensando al troppo traffico di ritorno
Persino il Plastic, la forma dei tetti
Le pizze a un euro al mare e la piada
Ordinata come si chiedono le vocali
A una classe delle elementari.
Torneresti ben presto al tuo posto
Se ti chiedessero: vuoi le ali?
Pesaro agosto e sorpreso non vedo
Chi riconosco, vedo un travestito appeso
A un casolare del posto.
Vedo le foto di un niente che è stato
Ma è stato, e non hai risposto. E ancora ti infili
Seduti all'ingresso del duomo
Per rivendicare il rieccheggiar dolce di via rossini.

mercoledì 23 novembre 2011

"L'automne" di Alphonse de Lamartine (trad. da E.Della Martire)

Ciao, boschi coronati d'un avanzo di verde,
Fogliame che sull'erba sparsa ingiallisce!
Ciao, ultimi bei giorni ! Il lutto della natura
Conviene al dolore e piace ai miei sguardi.

Seguo d'un passo sognante il sentiero solitario;
Amo rivedere ancora, per l'ultima volta,
Questo sole in via di pallore, la cui flebile luce
Fora appena ai miei piedi l'oscurità dei boschi,

Sì, in questi giorni d'autunno in cui la natura spira,
Nei suoi sguardi velati mi sento più attratto;
É l'addio di un amico, è l'ultimo sorriso
Dalle labbra che la morte chiuderà per sempre.

Così, pronto a lasciare l'orizzonte di vita
Piangendo la speranza dei miei lunghi giorni svanita
Mi volto ancora, e con sguardo voglioso
Contemplo i suoi beni che io non gustai.

Terra, sole, vallate, bella e dolce natura,
Le devo una lacrima ai bordi della mia bara ;
L'aria è così profumata ! La luce è così pura !
Per un morto che guarda, il sole è così bello !

Vorrei adesso vuotare fino all'ultimo
Questo calice mescolato di nettare e di fiele :
Sul fondo di questa coppa da dove bevevo la vita
Che resti una goccia di miele ?

Che un ritorno di felicità, la cui speranza è perduta,
Il futuro me lo conservi ancora ?
Che nella folla un'anima che ignoro
Avesse compreso la mia anima, e mi avesse risposto ?....

Il fiore cade sprigionando allo zefiro i suoi profumi;
Alla vita, al sole, sono questi i suoi addii;
Quanto a me, io muoio; e la mia anima, nel momento di spirare
Si esala come un suono triste e melodioso.

sabato 19 novembre 2011

"La voix" di Charles Baudelaire trad. da E.Della Martire

La mia culla si addossava alla biblioteca Babele oscura in cui romanzo, scienza, favola, Tutto, la cenere latina e la polvere greca, si mischiavano. Ero alto quanto un in-folio. Due voci mi parlavano. L'una, insidiosa e ferma, diceva: "La Terra è una torta piena di dolcezza; posso, (e il tuo piacere sarebbe allora senza fine!) fare in te un appetito altrettanto immenso."
E l'altra: "Vieni! oh! vieni a viaggiare nei sogni. Al di là del possibile, al di là del conosciuto!"
Ed essa cantava come il vento dei lidi,
Fantasma ululante, venuto da chissà dove, Che carezza l'orecchio eppure lo spaventa.
Ti risposi: "Sì! Dolce voce! E' da allora che data ciò che si può ahimè! chiamare la mia piaga e la mia fatalità. Dietro ai decori dell'esistenza, nel più nero fondo dell'abisso, vedo distintamente dei mondi singolari e, della mia chiaroveggenza estatica la vittima, Trascino dei serpenti che mi mordono le scarpe. Ed è da allora che, simile ai profeti, amo così teneramente il deserto e il mare; che rido nei lutti e piango alle feste, e trovo un gusto soave nel vino più amaro; che prendo molto spesso i fatti per delle menzogne, e che, gli occhi rivolti al cielo, cado nei buchi.
Ma la Voce mi consola e dice: conserva i tuoi sogni; i saggi non ne hanno di tanto belli quanto i folli.

venerdì 18 novembre 2011

No, non ci riesco...

Vorrei scrivere qualcosa
Che lasci un sottointeso
Grande come una russa prosa
Ma senza alcun peso.

Una rosa che in fondo alle spine porti
Lo spazio per un dito che porgi spaurito
In quell'attimo voglio scrivere
Della goccia di sangue.

Ma è solo troppo discinta la mia mente
Come sparata da un aereo intelligente
Non v'è altro che parola nella stiva
Di questa nave, tonda, promettente e cattiva.

giovedì 10 novembre 2011

I have no dreams (e quindi minni futtu!)

Punghiri 2

A Parigi tutti i posti distano mezz'ora. Non me ne sono mai spiegata il motivo, eppure abito in una banlieue..
I parigini fanno l'effetto di un "genitore creativo", apparentemente disinteressato, con alle spalle chissà quali radici straniere, offre opportunità stimolanti senza averne l'aria, ti tratta affettuosamente se ti vede convinto, ti ride adosso se incespichi. Rincorre il progresso e si controlla da solo, spesso insolente, combatte per il gusto di farlo.
Non è un ritratto aderente a qualsiasi persona, sia chiaro, ma è l'impressione di un'italiana con metà dell'istruzione superiore, curiosa e volenterosa. Dispersiva e pronta ad assorbire. Non credo diventerò mai un parigino ma lo reciterò, in un racconto o in un teatro o tutte le volte che dovrò interpretare un ruolo.

punghiri vorrei dormirli ma vogliono essere scritti

Parigi è stata disegnata da una ragazzina sovrappensiero durante una lezione noiosa.
Ho passato l'ora del tramonto a guardare il cielo, da un po' non succedeva...
Aux Jardins des Tuileries.
Je lisais Paris
Derrière un livre de Jean-Pierre Martinet
Que je vais traduire..Peut-être, si j'ai envie.
Poi è venuto il più pestifero della classe, ha strappato la pagina, ci ha fatto un aeroplano e l'ha lanciato fuori dalla finestra.
L'aeroplano è andato a finire su un albero, sull'albero è passato un giorno di pioggia,
che ne ha informato la terra..
Così nasce Paris, le grand escargot.

Landscape in Pantin (France)

mercoledì 2 novembre 2011

Scrivo molto, forse per evitare di addormentarmi e fare sogni come quello di ieri notte. Sono contenta di non scrivere a nessuno in particolare e di non impormi a nessuno in particolare. A qualcuno ci si rivolge sempre, certo.
Ma non sono in vena di fare riflessioni e d'altronde non ne sono neanche tanto capace. Ho un paio di cuffie gialle, traccia dell'autobus a due piani che gira per Parigi.
Tra una spiegazione turistica e l'altra danno canzoni come pasticche, e sempre quelle.
Ma il giro è bello e ancora di più perché ripensandoci mi ricordo della mia famiglia venuta a trovarmi.
Spero che qualcuno che non conosco un giorno mi scriva da un paese che non conosco, una frase nuova in una lingua che non conosco.
Ho in mente una sceneggiatura ma è qualcosa che più difficile da rappresentare non c'è.
Quindi la prendo con celia, sto bene di stomaco, ho mangiato solo una zuppa e una carota per cena, ma poi qualche biscotto e l'immancabile tazza di tè.
Eheh..no, non è il tè che non mi fa dormire. Era deteinato.
Semplicemente è che mi sento popolata. Avete mai l'impressione che qualcosa debba uscire da voi? E allora scrivo. E tendo a non declinare, solo ad assaggiare ricordi e momenti, come quella volta che ho osservato di soppiatto in un locale sulla spiaggia i genitori di un ex compagno di liceo cantare battisti come ragazzini.
So già questo: quel qualcuno che non conosco sarò io stessa, tra qualche decina di anni, qualche lingua in più e qualche significato in meno.
merde...la tristesse..

Novembre

Novembre dove le tenebre si colorano
Vedo un ragazzo col cappello, sempre quello
Ad aspettare l'autobus da mezz'ora.
Fingo di non guardare, dondolo, mi guarda.

C'è come una magia che danza.
Sempre macchine e luci elettriche e pozzanghere
Ma dentro il cappotto sono diversa.
Mi viene voglia di gettarmi in mezzo al traffico
Novembre titubante mi afferra il polso.

Lui è sempre saggio e piagnone,
I parchi lasciano ottobre con la voglia di abbassare
Il colore del fogliame.
Stiamo stretti a casa ad una tazza calda
Di un tè che è come un autodafè
Un romanzo si cela sul suo fumo
Novembre e la luna e il soffitto e il tuono.

Pesaro

Pesaro, riparo e peso.
Nascondi i tuoi genitori
In case normali, sul mare.
Pesaro, odori d'acqua e di
Fontane dure come teste assopite
Pesaro, fendi i tuoi colpi a vuoto
Nelle tue strade pur sempre invitanti
Quando le luci e i suoni fanno blackout.
Pesaro, ripensarti mi è inutile
Ma ti cerco come giro di accordi futile.
Ti ho conosciuta nelle facce
Che ora abitano altrove.
Ti ho conosciuta in quelli
che non si muoveranno mai.
Riservi il tuo schifo e il tuo candore
A quelli che ti guardano a distanza
Ma è facile non chiedersi al ritorno.
Ritorno come sono, dentro te.
Malata e con una voglia di andarmene.

Descrizioni precoci

Mi tiro fuori col bisturi
Un eurodisneyland di sogni
Perché sono obbligata
Vanno su e giù come caramelle in un cappello.
Un due tre! Scegli.
Preferisci quella mou o quella alla menta?

Mi tiro fuori con le braccia
una catarsi di ricordi
Di nuovo perché sono obbligata
E su ogni ricordo che sfugge
Ricamo una fantasia.
Questo dev'essere genetico.

Poi mi tiro fuori una donna,
Questo è divertente, una donna
Che non si pettina spesso che sorride
dolcemente e sa scoccare
La freccia e trafigge il centro dell'attimo.

Ha una lente di ingrandimento, una bussola
E dice che va per pianeti lontani.
Ma a che serve la bussola in pianeti lontani?
Lei vi dirà che è per buttarla giù
Nello spazio infinito.
Più movimentato di una tromba d'aria.

Vivono tanti esserini semplici
Saranno i clienti di quell'eurodisneyland
A loro ci tengo sì, prima che finiscano
In scaffali illuminati da luce elettrica.

martedì 1 novembre 2011

Tu sei lì e ti sbaglio
Sei nel soffio e ti tradisco
Proprio adesso che diventi poesia
Non ti fermo.

Nello specchio sei ancora un po' me
Mi credi lontana, è solo che guardiamo
dalla parte opposta.
Tu sei lì, sento la tua schiena

So che respiri ancora
E mi leggi e mi giudichi
Ma non voglio nemmeno adesso definirti.
Tu mi ascolti e io ti canto.

Mi tieni stretta contro il muro liscio
Condanna dolce sentire ancora il mio corpo.
Non hai gambe strisci come un serpente
Pensavo di averti lasciato indietro, nei ricordi.

Non sei un demone del cuor mio, non lo sei
Intendo solo i tuoi richiami e non i miei
sintomi, di tutto che sbagliato si scolora
Non posso dire chi sei.

Forse sei un istrice che si stende sul mio corpo
Ogni spina è un chiodo o forse
Sono sempre troppo tragica.
Non è semplice ascoltare una nuvola
Che passa.


Una luce corolla il tuo ciglio
Ma il naturalismo è troppo di facile effetto
E la mia mente troppo selvaggia.
Lo so ti ho trascurato
Uomo che non ebbi mai,
Ma friggimi tra le tue braccia
Se hai ancora delle braccia
E se l'olio bollente è meno insopportabile
Dei fiumi di parole.