martedì 24 aprile 2012

La settimana in cui avvenne la rivoluzione (ispirata alla canzone dei dodici mesi di F.Guccini)

Severo e denso come gli imprevisti
Lunedì segni l’inizio
Col tuo vociare risvegli gli artisti
Arresti dell’inerzia il vizio
Arresti dell’inerzia il vizio. 

E mentre popoli i tuoi sovversivi 
Di dolci presagi, s’affaccia
La massa che inganni con i furtivi
Germogli nella bisaccia.
Germogli nella bisaccia.

Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.

Martedì sei tu il giorno infinito
Pretendi e vuoi idee e cose
Indaffarato tendi il tuo lungo dito
Per pungerti colle rose.
Per pungerti colle rose.

Non molto stanco rigetti la rete
Senza avertene a male
Perché se proprio di un inizio hai sete
Già sai quasi il finale
Già sai quasi il finale.

Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.

Mercoledì il messaggero spinto
Che dà una pausa alla vita
La luna svuota il suo cesto dipinto
Per una segreta uscita
Per una segreta uscita.

È l’ottimismo dell’amore adolescente
Che sperpera presto i suoi frutti
Amami adesso e non chiedermi niente
Io sono amante di tutti
Io sono amante di tutti.

Col potere del giorno di giove
Mi ci gioco i miei versi
Di tutti i senni che Amore rimuove
Che Astolfo ce li riversi
Che Astolfo ce li riversi.

Sei come un re giovedì senzatetto
Un re che rifuggi le folle
Sei il re che aspetto, dai poeti detto
Pesi e rialzi le zolle
Pesi e rialzi le zolle.

Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.

Tu, il più leggero dandy, venerdì
Dei nottambuli sei la culla
Somigli spesso ai quadri di Dalì
Ridi ai bordi del nulla
Ridi ai bordi del nulla.

Se c’è la pioggia esci senza ombrello
O ti si rompe per strada
Per poi asciugarti di vino novello
E aspetti che il sole ricada
E aspetti che il sole ricada.

Appare sabato e i rimandi sepolcrali
Presto lasciano sazi
Tacchi di donne e luccicante viavai
Che bello dimenticarsi,
che dolce dimenticarsi.

File di sedie vecchi coi baffi lunghi
Invidiano i tuoi decori
Il tuo futuro e i velenosi funghi
Che marciano decisi là fuori
Che marciano decisi là fuori.

Poi arrivi tu domenica crudele
Sciogli le immensità
Urlando addosso ai mercanti di mele
Ti vendichi senza pietà
Ti vendichi senza pietà

La tua tranquilla gonna sottile
Gioca ancora tra i flutti
Furba ti invita a letto ma con stile
Per festeggiare i lutti
Per festeggiare i lutti.

Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.

venerdì 20 aprile 2012

Punge la vita.
Vespa di più di una notte smagrita
e il sitar
L'accompagna come una ferita

Si nasconde così, pura,
Dietro le gioconde nella calura
e, tortura,
spalma i loro nasi di frittura

Tengo per la mano
Un braccio ribellato
Di un avvocato strano
E con l'altra guido un deltaplano

O tu che leggi, sfido
La secca tua a rinnovare il grido:
Di ciò che non sia strofa io diffido
Un mondo sia di versi e di libido

mercoledì 18 aprile 2012

rivisitazione di "Riccioli d'oro e i tre orsi"

Il corpo di un enorme orso conteneva un bosco. Se lo era mangiato, un giorno che era troppo stanco per andare a caccia o a raccolta. Allora si era disteso sull'erba, aveva allargato bene la bocca e, a cominciare con il primo insetto fino all'ultima quercia, divorò tutto.
Tre api turiste, madre, padre e apina, tutte entusiaste nonappena ebbero saputo la notizia, decisero di fare i bagagli e di andare a vivere in quel bosco. I turisti adorano le cose bizzarre, e fare finta che siano stati loro a scoprirle per primi.
Per precauzione comunque, decisero di trasferirsi per qualche tempo nella bocca.
L'orso per pigrizia teneva spesso la bocca aperta, impegnato a dormire, e non le ingoiava mai, le tre api.
Così loro passavano il tempo nella costruzione della nuova graziosa casetta, alle pendici dei molari.
Aveva tutto: le tapparelle per le correnti d'aria, il tetto, la cantina, lo studio dove potevano con calma concentrarsi per ore nella masticazione del polline... C'erano persino tre letti, uno grande per papà ape, uno medio per mamma ape e l'ultimo piccolino per l'apina.
Vi si stava proprio bene, anche se del bosco si vedevano solo le cime degli alberi più alti sporgere dalla laringe.

Un giorno una bambina chiamata Riccioli d'oro e famosa per la sua curiosità passò di lì e, dato che la casetta era così bizzarra e che lei la sua ce l'aveva lontana lontana, decise di entrare.

Per fortuna le api non erano in casa, erano andate a fare rifornimento di polline lasciando così raffreddare la pappa reale che mamma ape aveva messo nel pentolone e aveva poi versato su tre tazze: una grande, una media e una piccolina.

Riccioli d'oro fece intrusione nella casa e vide subito le tre tazzine sul tavolo che sembravano attendere lei.
Bevve dalla più grande, ma la pappa reale era troppo calda. Nella media era troppo densa.
Infine quella nella tazzina più piccola era perfetta e la bevve tutta in un sorso.
Poi si sentì girare la testa e vide tre sedie: una grande, una media, una piccolina.
Le provò tutte e tre ma decise che la più piccola le andava a pennello.
La sua mossa fu troppo azzardata! Infatti la sedia piccolina si ruppe in mille pezzi sotto il suo peso.
Ora era così stanca che pensò di salire le scale e andare a dormire.
Ovviamente trovò tre letti: uno grande, uno medio e uno piccolino.
Quello grande lo trovò troppo morbido, il medio troppo duro, e il piccolo lo trovò perfetto.
Si distese e in poco tempo si addormentò.
Le api erano già alle soglie di casa, si accorsero ben presto che qualcuno aveva bevuto nelle loro tazze, che si era seduto sulle loro seggiole, che aveva dormito...Ah! Qualcuno DORMIVA nel letto dell'apina!
Papà ape ronzò più forte del solito tanto che Riccioli d'oro si credette circondata da uno stormo di api in guerra e si sveglio.
Alla vista del padre ape e della sua famiglia le scappò un grido, lasciò le lenzuola ancora calde e scappò via.
Ma non fece in tempo ad andarsene lontano, perché l'orso chiuse all'improvviso la bocca e si trovarono tutti, Riccioli d'oro e famiglia di api, imprigionati dentro il bosco incantato.

sabato 14 aprile 2012

L'incontro

II

Eccomi qua. Marocco-Milano sola andata. Durante il viaggio la gente mi guarda compassionevole, mi sono sempre fatta domande su Milano. Non sono affatto compassionevoli perché sanno la mia direzione, o il mio passato. Sono compassionevoli perché non vedono il mio viso e non vedono me, dentro.
Ma a questo mio velo ce li faccio abituare io...Non è facile abitare un corpo di donna e il mio, anche se coperto, lo abito orgogliosamente.
Non abbiamo particolari problemi in patria, perlomento la mia famiglia. Ancora delle persone pensano che il marito possa maltrattare la moglie, che la donna non dovrebbe mai chiedere il divorzio, ma non è il caso di casa mia, per fortuna.
Ho voluto l'Italia perché le mie amiche sono andate in Francia e a me non andava per nulla. Sin dall'infanzia il francese parlato a scuola non mi ispirava niente di buono. Una lingua di carta, ecco.
All'inizio pensavo che mi guardassero così per via di Milano. Mi sono detta: "Ma è una città così terribile? Perché hanno tutti un viso da funerale?" Poi mi sono resa conto che avevo qualcosa di più vistoso del mio viaggio: il velo. Lo vedono come il lutto della mia femminilità. Forse vale così per le altre, io sono diversa.
Non che per essere diversi ci sia bisogno di un velo. Sotto il velo ho studiato anche filosofia e mi sono ficcata in testa cose per niente sane, lo so.
Per esempio Milano, non la vedo come una brutta città. Riserva sorprese la sua bellezza casuale, i suoi scorci caldi nel grigio.
Niente a che vedere con il Marocco, certo, la terra dei miei padri, lucente e ricca, ricca come mai me ne ero resa conto prima.
Qui nelle facce riesco solo a vedere la strafottenza dei paesi europei, la luce dei negozi uguali dappertutto, le pance piene e soddisfatte di chi non immagina più molto diverso né se stesso né la propria città né il mondo.
Quando si sta troppo bene alcune facoltà si addormentano, quando altri cominciano a invidiarti la nazionalità sei fritto, dal tuo piedistallo infiocchettato di stupide bandiere non ti smuovi più.
Lo so, vi lascio la bandiera, mi tengo il velo. A ognuno il suo. Ma non vorrete dirmi che girare con il velo è altrettanto vistoso che distribuire le proprie foto semi-nuda su un social network? Prima di voler ficcare il dito nel mio velo pulitevi la suola delle scarpe.
Un ragazzo seduto di fronte a me si alza, si guarda intorno alternativamente in ogni direzione. Mi dice, in un vero tono da sbruffone:
- E' sola signorina?
- Sì che sono sola. - rispondo - Che vuole? - non mi sono mai piaciuti gli intermezzi retorici e non mi sembra il tipo da offendersi. Probabilmente si sarebbe sentito stuzzicato.
- Ah.....fiuu...bene. Volevo parlare con lei e non sapevo se avessi il permesso.
- Ho il velo ma non sono prigioniera!
Il ragazzo ha l'aria semplicemente incuriosita, e un fare disinvolto che ho visto in qualche vecchio film italiano.
- Io sono Salvatore, lei come si chiama?
- Milena - rispondo.
- Ha l'aria d'essere molto giovane, è così?
Sono come incandescente, deve essere uno stregone o il viaggio ha funzionato nella mia mente come ingresso verso nuove dimensioni; fatto sta che, stanca e con i sensi bene attenti, non mi sento per niente infastidita da quest'incontro.
- Ho 18 anni.
Che strano profumo emana! Il profumo di una specie umana nuova, unita alla spavalderia così familiare del mercato di Marrakech.
La navetta si ferma e dobbiamo prendere i bagagli e uscire, il più in fretta possibile, a giudicare dal ritmo della folla.
Non voglio però perdere questa mia prima conoscenza, gli dico:
- Sono diretta a questo indirizzo, possiamo vederci a volte, scrivimi.
Salvatore prende il foglio in mano con evidente stupore, rimane fermo e mi guarda.
Per davvero non so quale follia mi abbia preso, ho lasciato il Marocco e anche un po' la me marocchina, sono una marziana e le persone sono come corvi che si appoggino sulle mie braccia.
Amo questa sensazione, e spero tanto che quei corvi non comincino anche a cibarsi di me, prima o poi.

Prologo

I

La grancassa metropolitana batté anche quel giorno per me il suo ritmo consenziente. L'autobus, unico essere a dissentire, serpeggiò fuori dalla portata di una decina di ragazzi che l'avevano perso bighellonando. I ragazzi correvano, l'autobus chiudeva le porte. I ragazzi correvano, l'autobus partiva. I ragazzi correvano, l'autobus se ne andava avanti. I ragazzi correvano, l'autobus se ne andava lontano. I passeggeri dell'autobus esultavano davanti alla faccia furiosa degli orfani-di-autobus, fuori.
- Tiè!!! - pensavano. L'autobus era perso.
Oppure non pensavano niente come me, che toccavo la gamba di Milena spostandole la gonna. La gamba era gelida, così gelida da spezzare ogni sortilegio. Ma le tirai su leggermente la gonna per far sì che il sole la scaldasse un po'.
Lei mi guardò con quegli occhi che avevano bisogno delle ciglia per passare dalla faccia che credeva lei alla faccia che volevo io.
Tutto era perfetto. Le sue gambe erano ancora gelate, si sarebbe detto che fosse una morta, se non fossi stato sicuro del mio presente, del mio gusto, e del mio ardore per lei. Le scalai la schiena con le dita.
Tutto sembrerebbe così facile ma, sapendo come ci siamo incontrati io e Milena, si capisce che non lo è.
I passeggeri pensavano - Tiè!!! - io toccavo la sua gamba gelata, poi lei si mise a parlare al telefono.

martedì 10 aprile 2012

Chi mi ha rubato la marmellata

Io non lo so.
Chi mi ha rubato la marmellata?
L'ho visto, era dietro la moka del caffè
Faceva tutti giorni lo stesso movimento.
Era mio marito.

Oppure era il giorno che mi sono addormentata
appallottolata con delle parole orfane tra le dita
E' uscito fuori dal mio libro
Era il mio autore preferito.

Son sicura, mi ha fregato
Quando più mi mostrai debole
E col vento l'ha afferrata
La mia marmellata.

Era la vicina assatanata.
Quella sempre stressata
Che non vuole che profumi il vicinato
Con la marmellata.

D'ora in poi l'ho issata
Sopra la mensola e con la canna da pesca
Vedremo un po' di scoprire
La libidinosa tresca
Che mi insegue prima di dormire
Dopo una lunga lunga giornata

Io non lo so
Chi mi ha rubato la marmellata.

lunedì 9 aprile 2012

Addio sentimento, per quanto butti male
Per quanto tu mi sia stato fanale
E pompa di calore funzionante
Ti abbandono, ti saluto, grazie tante.
Mi accorgo,
Che il tuo non era il solo funerale.
Ma altro non posso fare, ti sciolgo
Da ogni incarico costituzionale.