venerdì 12 dicembre 2014

Avevi costruito una fasciatura
Per il mio polso.

Dicendo che dovevo andarmene
Alla casa della serenità.

A causa della delicatezza
Delle mie ossa.

Io guardai lo specchio
Rigato, come il viso

Da lacrime umane.
Come un conflitto si creano

Tra freddo e umidità
Le bolle dell'acqua
E l'inverno.

Così si soffre
Come un vetro appannato
E le nostre angosce
Si sciolgono alla luce dell'alba,

O se si tiene la finestra spalancata.
Il mio viso cala sulla fasciatura
Come sorridente
Di tutto ciò che avrei potuto
Deridere, e ho pianto.

mercoledì 24 settembre 2014

Cos'è l'amore per me.

Dolori muscolari si accaparrano la mia schiena, da troppo tempo non mi alzo da questa sedia a dondolo. D'un colpo mi ricordo di altri dolori muscolari, di quando il giorno, come un'inarrestabile combattente, avevo la forza di agire in tutte le direzioni, anche se spesso erano sforzi inutili, che importava?
Ma c'è qualcosa che, anche seduta qui, continua a non abbandonarmi. Qualcosa oltre la penna, e il piacere di scrivere.
L'unica altra passione davvero comparabile, che possa guidare la vita di qualcuno come ha fatto con la mia.
A dire la verità dubito che possiate godere, tanto quanto me, delle doti curative di questo lungo pensiero, come dubito, dopotutto, che un tale fenomeno si possa ripetere altrettanto in un'altra epoca e in un'altro luogo.
Per questo ho deciso di raccontarlo, senza pretese di comprensione o d'arte.
Mi sono sempre abituata male alla solitudine, ma se mi lasciavano sola cercavo di campare immaginando mondi popolati, da creature non comuni, mondi nei quali approfondivo concetti e traumi come ogni bambina dovrebbe essere lasciata libera di fare.
Non ero una bambina più intelligente della media, la mia sensibilità derivava, lo presumo, da qualche sofferenza pre-natale o da qualche immagine che attraverso gli occhi di mia madre era arrivata fino a me.
E' vero che mi piaceva già, e molto, scrivere.

Sto cominciando a rabbrividire perché ogni volta che faccio qualsiasi cosa, compreso scrivere, senza parlare di scrivere dello scrivere, lo sento. Sento la sua traccia in me, sento il suo profumo, alla quale mi sono ispirata, come una conchiglia che cresce attaccata sempre allo stesso scoglio e non riesce mai a staccarsene, nemmeno se un bambino la vede, dice "che bella!" e la stacca per prenderla e collezionarla.
Nemmeno in quel caso la conchiglia si dimentica di quell'odore, di quel segno.
E il segno di lui, dicevo, ce l'ho qui fra le mani, qui nel mio scrivere.

E' cominciato tutto scrivendo, tutto è passato prima attraverso la parola, i giochi di parole e le curiosità.
In una chat-line, una delle prime, mi ci ero lanciata piena di curiosità. Non ero il tipo da annoiarmi, di sicuro se quel giorno non avessi usato il computer mi sarei divertita con qualcos'altro. Ma la chat era una cosa nuova, e il bibliotecario aveva spiegato a mia sorella come usarla, che lo aveva spiegato a me.
Per mia madre (il ruolo di mia madre è molto interessante in tutto questo) tutto faceva parte del mio scoprire la vita, e poi di ciò che era nuovo anche lei si stupiva. Così il suo stupirsi, la sua calma serena, contagiava anche me.
Scherzammo, all'inizio, lui ed io, finché non ci accorgemmo che anche nello scherzo ci stavamo seguendo perfettamente, che nello schermo bianco il flusso di pensieri era unico, il cesto dove si mescolava la frutta fresca delle nostre parole era uno.
Ci stavamo seguendo nella fantasiosa birboneria di chi ha letto tanti libri e di chi ama quasi più i mondi inventati di quello tangibile e, dicono, reale.
Così ci siamo quasi visti allo specchio, e volevamo sapere l'uno dell'altra, dove si trovava, come, perché, e se provasse lo stesso.
Ma le metafore si rincorrono e spesso chi ci si affeziona ne esce a malincuore. Per questo sono una delle trappole dello scrittore.
Così lui volle sapere l'età della persona che gli era capitata di fronte, e prima mi disse la sua. Me lo disse con un gioco di numeri che riportava ai sette nani più qualcos'altro. Io per nulla spaventata avevo immaginato che si trattasse di qualcuno molto più grande di me, anche se dentro di me rimasi delusa nel constatare quella che mi sembrava una distanza incommensurabile.
Certo eravamo connazionali, certo la stessa lingua, non della stessa regione ma si poteva rimediare. La barriera dell'età, così forte nella sua convenzionalità, era un tabù troppo grosso per poterlo usare come corda per saltare.
Mi piacciono le sfide e quando anche lui seppe con stupore che avevo l'età sette nani per due meno uno e sussultò io ero già disinteressata a ogni dettaglio pratico.
L'avevo già dentro di me come quei personaggi che mi inventavo, che li inventavo proprio come li avrei voluto conoscere un giorno, e l'avevo conosciuto.
Insomma in qualche modo ci conoscevamo già e continuammo a conoscerci sempre.
Avevo già pianto sul vinile della Canzone di Marinella di mia madre e avevo già avuto il mio primo ciclo il tre ottobre 1998, quindi potevo già innamorarmi come un adulto.
Potevo ma non tutto il mio essere era deciso, un po' come quando sbattendo le ali si cerca una traiettoria ma non si è ancora del tutto sicuri. Si sa già, comunque, dentro, che un giorno sarà necessario scegliere.
Cos'altro mi aspettavo dalle mie emozioni? Solo di amare e provare, provare e amare, ma solo come mi sembrava giusto. Come volevo io. Non come voleva il mondo. A modo mio e in linea con la giustizia dell'universo. Di fronte a tanti sani principi chi mi avrebbe fermata?
Così mia madre, e una mia cara amica che in quanto a differenza di età non aveva niente da invidiare a quella col mio amore, mi accompagnarono a conoscerlo dal vivo.
Non è andata proprio così, ci sono state lettere, musicassette, cd, pause e riprese, fatto sta che sempre ci pensavamo e sempre ce ne fregavamo del resto.
Neanche per un istante ho dubitato della sua onestà o limpidezza nei miei confronti perché, viste le sue reazioni, nessuno avrebbe raggiunto un tale livello di pazzia conservando però la paura di farmi male se non un puro di cuore.
C'era un misto di affettuosa attenzione e di libero interesse che mi intrigava e mi scioglieva ogni dubbio.
L’incontro avvenne all’ultimo piano di una grande galleria commerciale di Milano. Chissà quanti come noi in quel momento non sentivano i rumori intorno, chi per crucci lavorativi, chi per abitudine, chi per shopping pervasivo, chi perché, esattamente come me, aveva il cuore alle orecchie.
Mi alzai dal tavolino del bar dell’ultimo piano, lui stava arrivando ed io lo volevo vedere per prima, per avere almeno un istante di perfetta intimità visiva, che ci sarebbe poi stata giustamente tolta dalla presenza di mia madre e dell’amica un po’ psicologa.
I suoi capelli, non così corti, per non lasciar sfuggire la libertà dei riccioli, e il suo sguardo sincero e verde, attrassero la mia attenzione ancor prima che lui, con un gesto galante, facesse un inchino con la testa come faceva, da ateo ma rispettoso, ogni volta che entrava in una chiesa, alzando le sopracciglia.
Ci eravamo riconosciuti, baciarsi sulle guance e abbracciarsi fu il suggello d’una di quelle che si chiamano, secondo Goethe, affinità elettive.
Io ero la io di allora, non la io di adesso, ma ho sempre rispettato, amato quel momento, come un’intuizione sulla quale si posa l’autostima di una donna, curiosa del mondo, per la quale l’amore non sarebbe stato un programma conveniente.
Forse la consapevolezza di volere far parlare la mia sensibilità, di liberarla verso chi sapeva capirla, al di sopra delle differenze di origini e di età, insieme al piacere di differenziarmi dagli altri, mi aveva già portato al punto fermo che mi fa andare avanti ancora adesso, perciò mi innamorai.
Di certo l’amore era già nelle lettere precedenti, in un pronome, nel cerchio di una a, nell’unire e alterare le nostre realtà separate, nel volenteroso rumore della tastiera, seguito dal rimprovero materno che ricordava la scuola l’indomani.
L’odore… l’odore e l’amore però, si erano uniti solo nella presenza, erano stati più forti, per la prima volta della mia vita, che le parole scritte.
Nelle mie letture immaginavo il mio futuro, e facevo sì che il presente fosse degno di una tale immaginazione. Nelle mie letture avevo già un ragazzo vicino, non ben delineato, avevo già un lavoro, una famiglia. Nelle mie letture ero già adulta, adulta come credevo che fosse l’età adulta.
Per fortuna sono brava nelle intuizioni, o forse è l’immaginazione che poi plasma la tua vita, fatto sta che mi innamorai.

Tuttavia, uno può credere quanto vuole di sapere già, di essere già capace, il futuro si fa comunque con esperienze che non ci sono ancora.
Ebbi due altri fidanzati, dai quali imparai molto, tanto che mi misi in dubbio su quasi tutto, tanto che credetti nell’amore che ti insegna, che ti permette di darti agli altri sempre più e sempre meglio.
Ma l’amore visto così era come un serpente senza fine, che fagocitava per diventare più forte, lasciando le cose diverse da come erano prima di incontrarle, ma allo stesso tempo annullandosi in una leggerezza insopportabile.
Fui grata all’affetto riverente e sofferente di questi amori, di come mi avevano curata, di come io avevo curato loro, ma dovetti cambiare ospedale per recarmi nel reparto dei malati terminali di vita, e preferii amare una sola persona per sempre.
Adesso no, ancora non dico ch’io non ami anche altri, ne amo e di continuo, il flusso della me di sempre perdura, sono un albero con sempre nuove foglie.
Quando però qualcosa viene a nutrire il tuo tronco, oltre la corteccia, oltre gli sguardi clandestini del vento (che pure, inestimabile, mi avvolge sempre), devi restarci avvinghiato.
Innamorarmi di altri, nell’accezione che perdura ancora in me, è allora forse una posa del mio carattere, un travestimento ?

Lui però, di sicuro, no. Questo è l’amore per me, all’età di 26 anni.

martedì 10 giugno 2014

Concerto per scricchiolìo di sedie /tutti i diritti riservati (elisa della martire)

Al centro del palco una sedia vuota, di quelle che si trovano nelle scuole.

Entra uno zoppo. Vi si siede a fatica. Cerca un appoggio per il bastone, non lo trova, getta il bastone per terra, irritato.
Personaggio 1(professore) = ...Un male a una gamba...
Entra di fretta una donna molto magra, portando con sé una sedia, vi si siede.
Donna 1 = La gamba come va ?
Professore = Cosa vuole che le dica...Come sempre...un male...
Donna 1  lo guarda, con sguardo commiserante e scuote la testa = No...no...Proprio non se lo merita. (nel frattempo entra il gendarme con la sua sedia sottobraccio. Ci si siede abbastanza pesantemente.) Ha fatto anche l'università !
Gendarme = Qualcuno di voi ha problemi con la giustizia ?
Professore = Questa è la cosa più stupida che io abbia mai sentito...
Donna 1 = Il professore no...è un uomo per bene.
Gendarme scrutando il professore = Cos'ha fatto lì ?
Professore = Mi fa male una gamba.
Gendarme = Non sono tempi sicuri. (la donna si dondola sulla sedia, apre la borsetta, comincia a fare qualcosa, come la maglia)  E poi...Sottolineo : E' forse la sua gamba che le fa male, o lei che fa male alla sua gamba ?
Professore = La prima ipotesi è la meno probabile. È escluso infatti che una gamba possa agire in un modo o nell'altro, di sua volontà.
Gendarme = Rimane dunque che è lei a fare male alla sua gamba !
Professore = Questo è assurdo ! Perché dovrei fare del male alla mia gamba !
Donna 1 = Di certo il professore non lo ha fatto apposta...
Gendarme = Taccia ! Taccia ! (Entra un altro Uomo con la sua sedia.) Si dichiara dunque colpevole per aver lesionato la propria gamba ripetutamente ?
(Entrano due giovani con due sedie, si siedono e cominciano a pomiciare)
Uomo = Eppure anche io...se la mia gamba non si comportasse bene...
Professore = Colpevole ?
Gendarme = Certamente !
Professore = Perderei la mia sedia ?
Gendarme guardandosi intorno = Questo è da vedere.
Uomo = Che scomode...'Ste sedie...
Donna 1= Senta, professore...Lei è sicuro di stare su una sedia adatta ?
Professore= Mah...dopo anni è sempre la stessa. Poi uno ci si abitua.
Gendarme= Niente è detto ! Può essere che dopo anni e anni di fedele servizio...una sedia..track ! Ti tradisca.
Donna 1= Dopotutto, anche il suo mal di schiena dura da anni.
Professore = 9 anni !
Gendarme= Ma è inaudito !
Professore = L'importante è non alzarsi !
Gendarme= Già.
Uomo= Già.
Donna 1= Già.
Donna 1 = Vero, si potrebbe perdere il posto. E poi così...sguarniti...Si andrebbe a finire sotto i ponti.
Uomo = Puntando verso il giovane che sta pomiciando si alza bruscamente in piedi.
Ma io quello lo conosco !
La scena si blocca mentre l'uomo passa davanti a tutti lasciando la sua sedia, entra un vecchio lestamente, si siede al posto dell'uomo.
L'uomo si contorce per cercare di riconoscere i lineamenti del ragazzo che pomicia.
Gendarme = Lo dice a me ! Mio cognato commercia in sedie !
L'uomo si siede sopra il vecchio, si rialza accigliato.
Il vecchio non si sposta. L'uomo si ritrova in piedi, vaga per il palco.
Va verso il ragazzo che pomicia.
Uomo = Antonio !
Il ragazzo si scuote e smette di pomiciare.
Ragazzo = Roberto !
Si abbracciano. La ragazza si allunga sulla sedia lasciata libera dal fidanzato.
Antonio= Questa è la mia fidanzata, Sally.
Roberto= Piacere, Roberto.
Sally= Piacere.
Antonio= Cosa ci fai qui ?
Roberto = Ero venuto per il corteo...poi ti ho visto e...Adesso ho perso la mia sedia..
Antonio= Davvero ?! Ciò non mi stupisce, di questi tempi...Ma tu, tu sei un uomo colto, capace. Ce la farai.
Roberto= Non lo so...sono troppo distratto...La volontà c'è ma...Sai, penso che di questi tempi per avere una sedia seria ti devi fare furbo.
Antonio= Prima una sedia ce l'avevano tutti, e sempre all'angolo perfetto, dove c'è l'ombra. Quelle con lo schienale reclinabile...
Roberto= Già, invece ora una scomodità...
Antonio = Se ne trovi una appena appena decente devi tenere già conto dei soldi per il fisioterapista, a correggerti la postura !
Roberto = Con tutto il tempo che si passa oggi sulle sedie...
Sally= A pensarci mi vengono i brividi.
Entra un uomo su una sedia super-accessoriata, in pelle nera. Si mette al centro.
Dietro di lui c'è una libreria piena di libri, egli ne prende uno, toglie il cellophane nel quale era avvolto, lo guarda un po', fa una smorfia, se lo appoggia sulle ginocchia.
Entra suo figlio, un bambino, su una sedia come quella del padre, ma in dimensioni ridotte. Si siede di fianco al padre.
Il padre gli getta il libro.
Ricco = Tò...Per te.
Figlio= guardando il libro. A che mi serve ?
Ricco = Non vorrai mica diventarmi ignorante ?
Nel frattempo il « fidanzato » Antonio vuole riprendere il suo posto, trova la fidanzata, la carezza sul viso, poi scosta un po' le sue gambe e cerca di accomodarsi a fatica.
Figlio = Di che parla ?
Ricco= Cose importanti. È il primo libro che ho letto quando ero ragazzo. La Recherche di Proust.
Il figlio prova un po' a sfogliarlo.
Ricco= Megara ! Megara !
Voce fuori campo= Sììì ?
Ricco= Dov'è John ? E i miei appuntamenti per oggi ?
Megara entra trascinando una sedia confortevole ma più piccola, con un cagnolino sopra. Tutti lo guardano. Lei è vestita da cameriera.
Megara= Sì allora dunque.... (prende un'agenda)
Figlio= Bravo cagnetto.
Megara= Gita del signorino a Parigi....
Ricco= Ah ! La gita ! Allora vengo con te, come abbiamo deciso ?
Figlio= Sì papà....
Ricco= Ne riparleremo. Cos'altro, Megara ?
Megara=...Ore 18 : appuntamento con T., per fondazione città.
Ricco= Ah, sì ! Certo ! Quasi me ne dimenticavo ! Fallo entrare subito.
Megara= (Guarda verso le quinte) Signore...sarà il caso ?
Ricco= Perché ? Che c'è , insomma ?
Megara= Signore...Quell'uomo non ha la sedia !
Ricco= Mia cara...dobbiamo essere al passo coi tempi. Non rinchiuderci nelle nostre gabbie mentali. E d'altra parte, che importanza ha ? Qui da me di sedie ne può trovare quante ne vuole.
Megara esce. Si fa avanti Roberto T. (uomo senza sedia di prima)
Roberto T. = Buongiorno.
Ricco= Buongiorno mio caro ragazzo ! Accom.... ehm... Megara ! La sedia !
Megara entra portando una sedia.
Roberto T. la guarda, ci gira intorno, la scruta, poi ci si siede in modo anomalo, come se stesse pensando a un'opera d'arte.
Ricco, accendendosi un sigaro sottile = Sì, mi avevano detto che lei era un creativo.
Roberto T. = E a me avevano detto che lei ha qualcosa da affidarmi.
Ricco = Non precipitiamo. Sai, non mi conosci...Devo ammettere di essermi sempre occupato di altro, io, accumulare ricchezze, far andare avanti la mia azienda...Insomma impegni che mi si addicono ma che per me non sono tutto nella vita. Quindi mi sono messo a pensare a un mio sogno nascosto : quello di fondare...Un luogo in cui il cielo sia più puro, il sole consoli ma non scotti troppo, si possa mangiare e bere a volontà, un luogo nel quale la gente venga attratta naturalmente...Un nuovo agglomerato. Una città !
Roberto T. = Una città !
Ricco = Esattamente. Dove le persone possano migrare in tutta tranquillità, a patto ovviamente di pagare un’esigua somma.
Roberto T. = Interessante. E lei vorrebbe finanziare il resto ?
Ricco = Certo ! Le costruzioni essenzali, moderne, confortevoli. In cambio, la gente avrà la sua felicità, potrà svolgere le attività ricreative che vorrà, senza venire disturbata dalle troppe leggi vigenti nelle grosse capitali di oggi. Sarà grande quanto basta da non essere di provincia, sarà giovane e soprattutto comoda. E lei, ragazzo mio, la progetterà ! Ho sempre dato estrema importanza alle idee dei giovani.
Roberto T. = Molto interessante. E dove verrà costruita ?
Ricco = Su una pianura di mia proprietà, è un bel luogo di passaggio per tanti che lavorano nel commercio, saranno stanchi abbastanza da sostarvi almeno un po'...E non se ne andranno più ! Comunque, per questi dieci giorni sarò fuori...Perciò dovrai iniziare tu da solo, poi verrò a controllare il lavoro che hai fatto.
Roberto= Accetto volentieri, lei mi lascia campo libero ?
Ricco= (guardandolo attentamente) Certo, lei mi dà fiducia, caro ragazzo. In ogni caso bisogna pur rischiare. Sono sicuro che mi presenterà tra breve un team di lavoro adeguato. Può tenere la sedia come anticipo.
Se ne va il Ricco, seguito dal figlio, facendo  scorrere le sedie.
Roberto (rimasto solo, inizia a giocare con le sedie, la sua e quelle dei presenti, parlando da solo) = Grandi onori. Le porte si aprono. Pfum ! Appare il teatro . Migliaia di file di sedie popolate dalle più varie tipologie di umanità, ognuna impegnata in una sua attività. C'è chi fa scricchiolare leggermente la sua, con le gambe accavallate, chi ci mangia sopra, chi dorme, c'è chi conta le altre sedie e chi non si alza nemmeno per andare alla toilette. C'è chi ci fa all'amore. Chi specula sui profitti degli altri e chi guarda. Chi applaude, chi parla col vicino. Alcuni stanno chini, si direbbe che si stiano leccando delle ferite come lupi e invece...Parlano al cellulare. Di nascosto, così il vicino, che potrebbe essere anche la moglie, o peggio, la ex-moglie, non lo vede.
Ne ho visti tanti appollaiati sulle loro sedie come se fossero fortini o vascelli, o castelli medioevali con tanto di fossato e di coccodrilli.
I giovani occupano con non-chalance un posto che è loro quasi controvoglia, deformato, alcuni riescono a personalizzarlo, gli anziani non se ne vogliono andare più. Ma è il caso che sceglie l'andamento delle sedute, caso che si può prevedere grazie a qualche trucchetto.
Guardiamo le nostre città : quanti posti ci sarebbero, non ancora sedie, ma che potrebbero diventarlo ? Lo spazio è immenso e ce n'è per tutti. Userò questo principio su una piccola superficie, da cui poi le persone potranno prendere esempio. Creare altre città. Mille. Diecimila. A loro immagine. Non solo la loro singola, piccola sedia. Ma città. Mondi.
Se ne vanno, uno alla volta, i presenti, in qualche modo. Rimane solo il cane sulla sua piccola sedia. Poi anche il cane scende dalla sedia, esce. Rimane una sedia vuota.  Arriva l'anziano signore e la occupa come aveva fatto prima con la sedia di Antonio. Cadono dei coriandoli luccicanti, una luce accecante si accende, la Morte si porta via l'anziano signore, che stringe a se la piccola sedia e viene spinto fuori.

Preparazione della città.

(in preparazione)

Inizia la Scena del concerto, al quale anche il ricco mecenate assiste. Roberto ha predisposto tante sedie. Su ognuna c'è una persona che fa un suono. Chi emette una risata, chi fa scricchiolare la sedia, chi dà colpi secchi, chi riproduce piccoli ritmi. Qualcuno russa, altri lanciano dadi, uno recita delle poesie, qualcuno sale e scende freneticamente dalla propria sedia, due hanno un rapporto sessuale.
Roberto è diventato il direttore d'orchestra.
Alla fine il sipario si chiude, si apre un'altra scena nell'atrio del teatro, dove dei signori molto eleganti fumano. Tra questi il ricco mecenate, irritato.
Ricco = Così non va, non va, ragazzo. Non è proprio quello che intendevo. Certo...Devo ammettere proprio di aver visto la mia idea stravolta completamente. Questi qua devono essere i tuoi...collaboratori ?
Roberto = Sì, vede, lei mi ha dato campo libero, cosa assolutamente indispensabile in arte, ed io...ho dato voce ai bisogni fondamentali di questa gente. Questi qui. Che stanno tutti a guardare !
Ricco = Ma non va, non va ! Dov'è il benessere ? Dove sono i proventi ? Da me non avrà un centesimo ragazzo mio, non uno di più. Mi rendo conto di essere un vecchio utopista...Se ne va strattonandogli la sedia.
Una voce femminile = Roberto...Roberto...
Roberto = Maria, sei tu ?
Maria= Roberto. La città si è ingigantita. Ora sono in troppi. Stanno facendo la rivoluzione. Tra poco è previsto il via libera al fuoco.
Roberto = Devi andartene. Lontano. Corri. Su una parte deserta del mondo. Non tornare più indietro.
Maria = Vieni con me.
Roberto (accarezzandola)= Sono pochissime le donne come te, Maria. Vattene.
Maria= Dove vuoi che vada ?
Roberto = Dove desideri, ma...Se vieni con me, non mi domandare « dove andremo »
Maria= A che stai pensando ?
Roberto = Ora solo alla tua pelle. No...Non solo...alla città.
Maria = Andiamo ?
Roberto (prendendole la mano) = Andiamo.
Si sentono scoppi lontani di guerra.
Escono.

Appaiono dei cartelli su cui è scritto « Roberto T. CONDANNATO ALL'ESILIO »
Su uno schermo al centro delle dichiarazioni di Romeo V.
Roberto vaga sulla scena. Ai suoi passi appaiono città idealizzate di tutti i secoli passati, la Atene del V sec., Atlantide, Ferrara del '500...

Roberto =
« Buonanotte sogni cominciati
Che non hanno il tempo di finire
Più la notte non finisce mai
Meno sento il bisogno di dormire »

Delle guardie vestite di nero lo portano via dietro le quinte.

Segni di cortocircuito.
Luci illuminano un recinto. Dentro al recinto gli abitanti (quelli della scena delle sedie) sono abbigliati in modo più ricco, stanno seduti tutti uguali, a guardare verso il pubblico.

Gli abitanti applaudono. Poi si alzano, si mettono le giacche. Escono.


Resta il figlio di Romeo V. che carezza il cane, guardando fisso di fronte a sé, con un ghigno.