venerdì 30 ottobre 2015

A casa

Le luci del paese di fronte, sempre presenti, soffriggono sul lungolago del paese di fronte. Come ai bordi di una grande pentola mi trovo qui, sfogliando i miei fiori recisi di parole.
Tutta la casa è immersa nel sonno, trovo qualche vitalità nel guardare lo stuoino colorato, nel ricordare qualche pensiero di amici.
Oggi non c'è il temporale  e nella mia casa-barca  non si naviga. Visti dal porto, siamo solo appollaiati su alti tetti. Tante varietà di colori ci circondano. A volte ci sono i panni stesi, a volte no.
Certe volte trapela il suono di una musica ascoltata, o rimbomba una sedia che si sposta, una pentola che cozza contro il lavandino. Ci sono tre girasoli perenni, dentro, finti. Al momento non ricordo perché siano proprio tre. Ci sono le lettere e i numeri attaccati al muro, con a fianco il loro disegno o il loro pallino. Ci sono molte cose fatte a mano. Non è tutto perfettamente pulito. Il disordine cerca di trovare il suo perché,
Sorrido ai cuscini, al camioncino di legno della fattoria. Appena si entra, all'ingresso, appare una cucinetta di cartone costruita e colorata a mano, con una finestra che da su un paesaggio marchigiano. Al muro c'è un disegno astratto fatto dalla bambina. Al soffitto è ancora appesa una giostra di legno con gli animali, come quando era appena nata. C'è il quadro di un'amica, bianco e scuro, non molto colorato. Ci sono dei pupazzi e delle bambole. Non ci sono cose di valore comune.
Procedendo, al muro ci sono due antiche fotografie, un ventaglio moderno. Un mobile ad angolo che sembra un teatrino con il sipario tiene del cibo, sopra ci sono i tre girasoli. Perché tre?
Il tavolo della cucina si può chiudere, per risparmiare spazio, ma non lo chiudiamo mai. La cucina è composta da un frigo piccolo e da un lavandino tondo. Nella camera da letto, l'unica, il lettino della bambina è tondo anch'esso.
Dalla cucina delle finestre danno sul terrazzo. Sul terrazzo qualche pianta, non abbastanza, un tavolo, delle sedie, la raccolta differenziata non molto ben celata.
Lungo la spina dorsale di questa casa, una libreria e sopra, finalmente, gli eserciti di libri si reggono solitari e in massa, uniti e divisi, secondo categorie aperte.
Nel bagno il fasciatoio non è più sulla lavatrice, ci sono delle trousses, i fazzoletti, un asciugamano adagiato per mettere ad asciugare la siringa usata per la soluzione fisiologica. Sul lavandino c'è uno specchio, le lampadine sopra lo specchio non sono tutte uguali. C'è un bidet portatile, smontabile, e una vasca-doccia dove si può stare seduti, in cui a volte faccio il bagno insieme alla bambina. C'è il trono per il vasino, costruito dal mio compagno con del cartone e un copri-asse imbottito.
Nella camera da letto ci sono due letti singoli affiancati, con sopra due materassi singoli. Ci dormiamo come fosse un matrimoniale. Su due seggiolini ci sono dei vestiti, e anche negli armadi color verdino e crema. Dalla mia parte c'è uno specchio montato dietro l'anta. Sul comodino dei libri, delle creme. Ci sono cose che non c'entrano in certi posti che non c'entrano.
Adesso vado in bagno e c'è della carta igienica rosa profumata che io detesto ma dovrei essere grata comunque al mio compagno per essere andato a comprarla.
Le case sfitte, ecco ciò che non sopporto di pensare. Ci sono persone sfitte che andrebbero volentieri in una casa sfitta se ne avessero la possibilità, non la lascerebbero sfitta. Comunque l'abiterebbero con precauzione.
Invece lei è lì, sfitta, a prendere la polvere della malinconia e dell'egoismo. La polvere più nera. Marrone scura. Ad essere popolata dalla vegetazione e avere crepe sul tetto sono solo le più fortunate.
Penso a Ferro 3, a Pontiggia, alle "Vite di uomini non illustri".


domenica 25 ottobre 2015

Recentemente ho visto un film, di quei film che ti piacciono perché invogliano a scrivere. Mi succede anche dopo delle conversazioni con alcune persone. All’inizio, quando hai voglia di scrivere, non scrivi niente di eccezionale ma devi continuare perché, così come una psicoterapia, poi il bello viene, e il dolce.
Fino ad ora mi hanno licenziato tre volte, tutte e tre le volte per qualcosa che non sapevo fare. Intendo, non è che non ci provassi. La prima delle volte è stata in una gelateria. Non avevo, nel tempo da loro stabilito, imparato abbastanza bene a farcire dei coni. Da allora ho riprovato altre volte, sempre in casa, ero sicura, la mano si muoveva sciolta, il gelato rimaneva bello dritto su se stesso. Ricordo che una delle mie colleghe invece era stata accettata perché già brava a farcire i coni. È vero, mi hanno licenziata, ma da allora la mia manualità è molto migliorata.
Un po’ di tempo dopo quella gelateria ha chiuso. Mi chiedo. Se mi avessero tenuta, ormai che stavo imparando, e avrei imparato, lo so, come sarebbe andata?
La seconda volta è stata in un bar, per lo stesso motivo. Non ero spigliata, non sapevo fare i drink e mi sono cadute anche un po’ di portate. Insomma un disastro. Mi dovrei dire: non fa al caso mio.
Però da allora in situazioni simili mi sento più sicura, so fare il caffè e credo di saper fare anche un cappuccino nelle macchine dei bar. Sono più attenta e più precisa. Cucino sempre meglio.
Quindi, mi chiedo: se mi avessero tenuta?

Ok, forse dovrei pensare: se tenessero tutte quelle imbranate come me, andrebbero in fallimento. In due weekend però, non mi sento di aver espresso tutta me stessa. Il lavoro non aspetta e, soprattutto, ti vuole già formato. La ricerca di lavoro è un po’ come un eterno purgatorio, una prassi nella quale ti migliori perdendo allo stesso tempo fiducia in te stessa. Fantastico.