venerdì 19 agosto 2016

Il ragazzino del treno

Un sonno sconcertante avvolse le sue guance sporche di marmellata. Non si può dire che fosse il sonno di quel singolo istante, bensì di tutto il suo secolo, di tutti i secoli. Se c'era qualcuno che avesse voluto posare le sue stanche membra, egli era tutto lì, in quel ragazzino di undici anni sopra il sedile di un treno affollato. Il suo sonno era puro, non finalizzato al riposo, omnicomprensivo, amalgamante, quel sonno che fa riposare chi guarda. L'allegria della sua indole era ben rappresentata dalla marmellata che rincorreva in tono di sberleffo ogni burbero viaggiatore cappellaio, mantellone, serioso, ben lucidato.
Le voci nella testa che si scatenano in ambienti affollati in cui è educato stare zitti dicevano: "Che ci fa questo bambino da solo? Sta male? Dove starà andando?" e non tacevano facilmente perché la macchia zuccherina sulla guancia creava un effetto di disturbo.
Così come tutte le macchie per le persone distinte. E ognuno in quel treno si credeva una persona distinta.
Non c'erano molte altre distrazioni, i treni di prima classe trasportavano poca varietà antropologica e, anche quando differenze ve ne erano, si cercava di stringere il più possibile la bocca e i mantelli. Alcuni facevano conversazioni noiose, altri sbeffeggiavano i noiosi ma erano ancora più noiosi.
Ad un certo punto il bambino scalpitò.
Non si può dire che fosse sveglio, né che dormisse più, ma che giocasse ad un gioco che implicasse il tenere chiusi gli occhi preparandosi alle sorprese future.