martedì 18 gennaio 2011
Sophie le soir
Cosa fanno le donne di sera?
Vanno
Sperano
Ritornano
Si struccano.
Io ero ancora distesa, nel corridoio il rumore di mia sorella che si metteva le scarpe e diceva qualcosa a mia madre. Poi passava nello stretto bagno, si truccava facendomi l'occhiolino con il suo viso strano. Gli occhi sembravano guardarmi due volte, era comica ma non risi e non dissi niente, ritornai alla versione di greco, o meglio alla definizione alla quale il mio dito era rimasto.
Non avevamo gattini in casa ma ricordavo il calore di uno di quei felini sulle gambe, alla campagna da nonna Lucy.
Il dizionario non era da meno, schiacciava il mio ventre giovane e pulsante e mi teneva caldo nella casa malisolata col vento marino d'autunno.
Mi versai un bicchiere di sciroppo di lampone con dell'acqua, era uno sciroppo che avevo visto citato in un libro.
Poi ripresi ma la penna volava da sola e ballava, ballava in un dolce silenzio casalingo. Non c'era neanche abbastanza luce, forse. E non avrei dovuto fare i compiti a letto.
Ma era ormai sera e mia madre aveva spento i termosifoni, la fibrillazione di mia sorella pronta ad uscire con il ragazzo non avrebbe aiutato molto la mia concentrazione. Cosi' evitavo di entrare in una curva vecchiaia per colpa della sedia sbilenca e del tavolino troppo basso.
La mia schiena si sgranchiva come un gatto nel selciato di sole dell'infanzia. Poco ci volle a farmi addormentare, la penna in mano e il dizionario sullo stomaco.
Mia madre venne a svegliarmi poco dopo, sopresa e un po' contrariata nel vedere che non avevo ancora finito i miei compiti.
"Si' non preoccuparti" dicevo io, un po' defraudata della quiete. Fuori dalle finestre potevo vedere il paese agitarsi in un vento più nero di prima, dovevano essere già le unidici e mezzo.
Mia sorella doveva appena avere iniziato a fare la fila per la prima consumazione gratuita, mentre i suoni elettronici picchiavano contro le porte rosse stile Yacht del "River", le quali separavano l'aria filtrata del locale da quella irrespirabile dell'ingresso ghiaioso.
Migliaia di donne poco vestite e di uomini poco originali fumavano, là, si scambiavano ironiche battute e facevano fracasso festoso solo per cingersi i fianchi e scambiarsi baci amari di nicotina.
Il trucco neanche si vedeva, là fuori.
Ma certo, Tom avrebbe notato, a una distanza millimetrica, gli occhi evidenziati di blu di Sophie e per qualche inspiegabile ragione gli sarebbero piaciuti.
Pensavo cosi' mentre mia madre già dal letto mi gridava di spegnere la luce e dormire.
Il foglio era pieno solo per metà ed ora era tardi perfino per chiamare qualche amica e farsi dettare per telefono la parte rimanente di quella versione di Lisia.
Il dubbio su quello che ne sarebbe stato di me in futuro lo avevo, ma non ci agonizzavo sopra più di tanto per il fatto che amavo giocare, distrarmi e inventare. Ma già la preoccupazione del controllo dei compiti del giorno dopo si stava facendo sentire, e dicisi di rinunciare a qualche ora di sonno per vedere dove Lisia voleva andare a parare.
Cosi' fino a ché, tre ore dopo, con gli occhi pesanti, orgogliosa ma sperduta, chiusi il quaderno e spensi la luce.
Chi puo' dire chi fosse ancora sveglio là fuori.
Rimasi un po' a guardare la finestra con la stanza completamente buia.
Un soffiare di cane sposto' la porta socchiusa. Lo sciroppo di lamponi, trovato a tastoni aveva ormai un gusto nauseabondo e mi porto' presto in uno di quei sogni tumultuosi che durano un secondo, prima di sentire dei saltelli di cane che festeggiano mia sorella rientrata, i suoi tacchi appoggiarsi alla stuoia, i suoi piedi furbi trottare fino alla sua stanza, il suo odore di profumo e di sudore, il rumore di braccialetti.
Fu un altro battere di palpebre, da cui sfuggi' un po' d'invidia, per poi risvegliarmi dopo quello che mi sembro un paio di minuti, con lo schiaffo della sveglia a pile.
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