I miei ritmi sono sfaldati, i miei occhi si sfuocano. Trovo ispirazione ormai solo nel subconscio di ogni notte. Sarà solo un periodo? Sarà per sempre?
Mi chiedo che parte mi tocchi del dolore universale. Se devi schiantare, schianta per bene.
Non sorridermi e non darmi più il tuo pane.
Soffio soffio e non spengo più candele. Segno che la mia vita è finita. Soffio soffio. Semplice vuoto trasparente fiato mi resta.
sabato 25 febbraio 2012
giovedì 23 febbraio 2012
guerre odierne
Sgocciola parola sgradevole
Parola nevrastenica
Che vedo tutta unita.
Sgocciola pura ideologia
Non sa distinguere
Una grande pozzanghera assoluta.
Sgocciola il mito e il fieno
Per cavalli troppo miti
Sgocciola il fascio di crisantemi
Per corridori troppo chiassosi
E in tutto questo si impara poco
Si soffiano boccacce al vento
Perché possa riconsegnarle alla storia
Di porpora un occhio staccato.
Parola nevrastenica
Che vedo tutta unita.
Sgocciola pura ideologia
Non sa distinguere
Una grande pozzanghera assoluta.
Sgocciola il mito e il fieno
Per cavalli troppo miti
Sgocciola il fascio di crisantemi
Per corridori troppo chiassosi
E in tutto questo si impara poco
Si soffiano boccacce al vento
Perché possa riconsegnarle alla storia
Di porpora un occhio staccato.
venerdì 17 febbraio 2012
Nel mio vivaio
Nella mia società
Nel mio vivaio
Siam molti come formiche
Dentro un acquario.
I morti somiglian già
A pezzi d'antiquario
E scoppia la mia città
Stringendo un rosario.
Il buono è che siamo uniti
come un calendario
Appesi al chiodo dei miti
Svuotiamo il solaio
Chi cerca la propria via
Non pensa al saio
Ma bazzica nei dintorni
Di un tabaccaio.
Nella mia società
Nel mio vivaio
Siam molti come formiche
Dentro un acquario.
I morti somiglian già
A eserciti di Dario
Contro la realtà
E per l'immaginario.
Là là là là là là
Nel mio vivaio
Là là là là là là
Vivo al contrario.
Nel mio vivaio
Siam molti come formiche
Dentro un acquario.
I morti somiglian già
A pezzi d'antiquario
E scoppia la mia città
Stringendo un rosario.
Il buono è che siamo uniti
come un calendario
Appesi al chiodo dei miti
Svuotiamo il solaio
Chi cerca la propria via
Non pensa al saio
Ma bazzica nei dintorni
Di un tabaccaio.
Nella mia società
Nel mio vivaio
Siam molti come formiche
Dentro un acquario.
I morti somiglian già
A eserciti di Dario
Contro la realtà
E per l'immaginario.
Là là là là là là
Nel mio vivaio
Là là là là là là
Vivo al contrario.
domenica 12 febbraio 2012
"Cara, se mi amassi...Ma no, no, che non ti amasso."
Ti amo.
Innesto un amo dentro di te.
Poi, quando tu già ne parli in giro
Ti lascio, e mi assopisco.
I fiati della vita non sono per la mia bocca.
Difficile abituarsi a questo quando si sente
Ciò che tutti sentono.
Innesto un amo dentro di te.
Poi, quando tu già ne parli in giro
Ti lascio, e mi assopisco.
I fiati della vita non sono per la mia bocca.
Difficile abituarsi a questo quando si sente
Ciò che tutti sentono.
sabato 11 febbraio 2012
venerdì 10 febbraio 2012
Poème du canal qui court
Je marche tout au long du canal
Et l'eau marche autant que
moi, parce que le vent pousse les deux.
Et les grains de poussière
roulent et le temps.
Tout est lié.
Je suis et je suis.
Et l'eau marche autant que
moi, parce que le vent pousse les deux.
Et les grains de poussière
roulent et le temps.
Tout est lié.
Je suis et je suis.
mercoledì 1 febbraio 2012
Avventure dentro un corpo
Caduta dentro un corpo
(A Gianluca)
Da tempo abitavo
In una casetta nasale sull'orlo di un dirupo
Un giorno mentre davo la cera
E costruivo pennelli coi peli di naso
Scivolai, e caddi.
Poche erano, ohimè, le probabilità di salvezza
Bastava uno sbadiglio,
E sarei caduta nel mio corpo.
Così avvenne, o forse avevo lasciata la bocca
Aperta per distrazione, o per dire poesie.
Fatto sta che caddi proprio nell'ugola.
Quando ritornai in me ero circondata
Da pareti di stomaco belle da dipingere.
I suoni erano cambiati, le luci mi facevano
Rimpiangere le tonalità pastello.
Salii sui bronchi e vidi che erano pieni di oracoli
Parlano sempre, quelli.
Poi discesi all'ombelico, un roseo orizzonte
E, in fondo, un lumino, come di luna.
Una volta c'era una corda, chissà perché l'avevano levata.
Intanto il mio corpo senza di me
Faceva un po' quello che capitava.
Mi ci abituai tanto che perdei me stessa.
Ad oggi riesco appena qualche volta ad affacciarmi dagli occhi
Come vedere una città dall'autobus.
Avventura sul corpo II (esterno)
Camminai tanto sulle scale mobili delle vene
E tanto rimboccai le coperte a ghiandole, presi a pugni bacilli
Che riconquistai il naso.
Da lì era di nuovo la guerra: dentro, o fuori?
Decisi dato che c'ero di uscire
Anche se temevo che il mio corpo
Ne sarebbe stato sconcertato.
Come un ebete a funzionare senza di me.
E poi io, lì fuori, così piccola,
Sarei stato il buono pasto del piccione.
Poco importava, presi lo slancio
E planai sull'ascella, foresta accogliente.
Ecco dove costruiremo una città. Mi dissi.
Ma seguii il letto del fiume fino al primo segno di anca.
Troppe ebrezze per un giorno solo:
Presi un tè sopra a un malleolo
E il collo del piede mi fu amaca.
(A Gianluca)
Da tempo abitavo
In una casetta nasale sull'orlo di un dirupo
Un giorno mentre davo la cera
E costruivo pennelli coi peli di naso
Scivolai, e caddi.
Poche erano, ohimè, le probabilità di salvezza
Bastava uno sbadiglio,
E sarei caduta nel mio corpo.
Così avvenne, o forse avevo lasciata la bocca
Aperta per distrazione, o per dire poesie.
Fatto sta che caddi proprio nell'ugola.
Quando ritornai in me ero circondata
Da pareti di stomaco belle da dipingere.
I suoni erano cambiati, le luci mi facevano
Rimpiangere le tonalità pastello.
Salii sui bronchi e vidi che erano pieni di oracoli
Parlano sempre, quelli.
Poi discesi all'ombelico, un roseo orizzonte
E, in fondo, un lumino, come di luna.
Una volta c'era una corda, chissà perché l'avevano levata.
Intanto il mio corpo senza di me
Faceva un po' quello che capitava.
Mi ci abituai tanto che perdei me stessa.
Ad oggi riesco appena qualche volta ad affacciarmi dagli occhi
Come vedere una città dall'autobus.
Avventura sul corpo II (esterno)
Camminai tanto sulle scale mobili delle vene
E tanto rimboccai le coperte a ghiandole, presi a pugni bacilli
Che riconquistai il naso.
Da lì era di nuovo la guerra: dentro, o fuori?
Decisi dato che c'ero di uscire
Anche se temevo che il mio corpo
Ne sarebbe stato sconcertato.
Come un ebete a funzionare senza di me.
E poi io, lì fuori, così piccola,
Sarei stato il buono pasto del piccione.
Poco importava, presi lo slancio
E planai sull'ascella, foresta accogliente.
Ecco dove costruiremo una città. Mi dissi.
Ma seguii il letto del fiume fino al primo segno di anca.
Troppe ebrezze per un giorno solo:
Presi un tè sopra a un malleolo
E il collo del piede mi fu amaca.
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