Avevi costruito una fasciatura
Per il mio polso.
Dicendo che dovevo andarmene
Alla casa della serenità.
A causa della delicatezza
Delle mie ossa.
Io guardai lo specchio
Rigato, come il viso
Da lacrime umane.
Come un conflitto si creano
Tra freddo e umidità
Le bolle dell'acqua
E l'inverno.
Così si soffre
Come un vetro appannato
E le nostre angosce
Si sciolgono alla luce dell'alba,
O se si tiene la finestra spalancata.
Il mio viso cala sulla fasciatura
Come sorridente
Di tutto ciò che avrei potuto
Deridere, e ho pianto.
venerdì 12 dicembre 2014
mercoledì 24 settembre 2014
Cos'è l'amore per me.
Dolori muscolari si accaparrano la mia schiena,
da troppo tempo non mi alzo da questa sedia a dondolo. D'un colpo mi ricordo di
altri dolori muscolari, di quando il giorno, come un'inarrestabile combattente,
avevo la forza di agire in tutte le direzioni, anche se spesso erano sforzi
inutili, che importava?
Ma c'è qualcosa che, anche seduta qui, continua
a non abbandonarmi. Qualcosa oltre la penna, e il piacere di scrivere.
L'unica altra passione davvero comparabile, che
possa guidare la vita di qualcuno come ha fatto con la mia.
A dire la verità dubito che possiate godere,
tanto quanto me, delle doti curative di questo lungo pensiero, come dubito,
dopotutto, che un tale fenomeno si possa ripetere altrettanto in un'altra epoca
e in un'altro luogo.
Per questo ho deciso di raccontarlo, senza
pretese di comprensione o d'arte.
Mi sono sempre abituata male alla solitudine,
ma se mi lasciavano sola cercavo di campare immaginando mondi popolati, da
creature non comuni, mondi nei quali approfondivo concetti e traumi come ogni
bambina dovrebbe essere lasciata libera di fare.
Non ero una bambina più intelligente della
media, la mia sensibilità derivava, lo presumo, da qualche sofferenza pre-natale
o da qualche immagine che attraverso gli occhi di mia madre era arrivata fino a
me.
E' vero che mi piaceva già, e molto, scrivere.
Sto cominciando a rabbrividire perché ogni
volta che faccio qualsiasi cosa, compreso scrivere, senza parlare di scrivere
dello scrivere, lo sento. Sento la sua traccia in me, sento il suo profumo,
alla quale mi sono ispirata, come una conchiglia che cresce attaccata sempre
allo stesso scoglio e non riesce mai a staccarsene, nemmeno se un bambino la
vede, dice "che bella!" e la stacca per prenderla e collezionarla.
Nemmeno in quel caso la conchiglia si dimentica
di quell'odore, di quel segno.
E il segno di lui, dicevo, ce l'ho qui fra le
mani, qui nel mio scrivere.
E' cominciato tutto scrivendo, tutto è passato
prima attraverso la parola, i giochi di parole e le curiosità.
In una chat-line, una delle prime, mi ci ero
lanciata piena di curiosità. Non ero il tipo da annoiarmi, di sicuro se quel
giorno non avessi usato il computer mi sarei divertita con qualcos'altro. Ma la
chat era una cosa nuova, e il bibliotecario aveva spiegato a mia sorella come
usarla, che lo aveva spiegato a me.
Per mia madre (il ruolo di mia madre è molto
interessante in tutto questo) tutto faceva parte del mio scoprire la vita, e
poi di ciò che era nuovo anche lei si stupiva. Così il suo stupirsi, la sua
calma serena, contagiava anche me.
Scherzammo, all'inizio, lui ed io, finché non
ci accorgemmo che anche nello scherzo ci stavamo seguendo perfettamente, che
nello schermo bianco il flusso di pensieri era unico, il cesto dove si
mescolava la frutta fresca delle nostre parole era uno.
Ci stavamo seguendo nella fantasiosa birboneria
di chi ha letto tanti libri e di chi ama quasi più i mondi inventati di quello
tangibile e, dicono, reale.
Così ci siamo quasi visti allo specchio, e
volevamo sapere l'uno dell'altra, dove si trovava, come, perché, e se provasse
lo stesso.
Ma le metafore si rincorrono e spesso chi ci si
affeziona ne esce a malincuore. Per questo sono una delle trappole dello
scrittore.
Così lui volle sapere l'età della persona che
gli era capitata di fronte, e prima mi disse la sua. Me lo disse con un gioco
di numeri che riportava ai sette nani più qualcos'altro. Io per nulla
spaventata avevo immaginato che si trattasse di qualcuno molto più grande di
me, anche se dentro di me rimasi delusa nel constatare quella che mi sembrava
una distanza incommensurabile.
Certo eravamo connazionali, certo la stessa
lingua, non della stessa regione ma si poteva rimediare. La barriera dell'età,
così forte nella sua convenzionalità, era un tabù troppo grosso per poterlo
usare come corda per saltare.
Mi piacciono le sfide e quando anche lui seppe
con stupore che avevo l'età sette nani per due meno uno e sussultò io ero già
disinteressata a ogni dettaglio pratico.
L'avevo già dentro di me come quei personaggi
che mi inventavo, che li inventavo proprio come li avrei voluto conoscere un
giorno, e l'avevo conosciuto.
Insomma in qualche modo ci conoscevamo già e
continuammo a conoscerci sempre.
Avevo già pianto sul vinile della Canzone di
Marinella di mia madre e avevo già avuto il mio primo ciclo il tre ottobre
1998, quindi potevo già innamorarmi come un adulto.
Potevo ma non tutto il mio essere era deciso,
un po' come quando sbattendo le ali si cerca una traiettoria ma non si è ancora
del tutto sicuri. Si sa già, comunque, dentro, che un giorno sarà necessario
scegliere.
Cos'altro mi aspettavo dalle mie emozioni? Solo
di amare e provare, provare e amare, ma solo come mi sembrava giusto. Come
volevo io. Non come voleva il mondo. A modo mio e in linea con la giustizia
dell'universo. Di fronte a tanti sani principi chi mi avrebbe fermata?
Così mia madre, e una mia cara amica che in
quanto a differenza di età non aveva niente da invidiare a quella col mio
amore, mi accompagnarono a conoscerlo dal vivo.
Non è andata proprio così, ci sono state
lettere, musicassette, cd, pause e riprese, fatto sta che sempre ci pensavamo e
sempre ce ne fregavamo del resto.
Neanche per un istante ho dubitato della sua
onestà o limpidezza nei miei confronti perché, viste le sue reazioni, nessuno
avrebbe raggiunto un tale livello di pazzia conservando però la paura di farmi
male se non un puro di cuore.
C'era un misto di affettuosa attenzione e di
libero interesse che mi intrigava e mi scioglieva ogni dubbio.
L’incontro avvenne all’ultimo piano di una
grande galleria commerciale di Milano. Chissà quanti come noi in quel momento
non sentivano i rumori intorno, chi per crucci lavorativi, chi per abitudine,
chi per shopping pervasivo, chi perché, esattamente come me, aveva il cuore
alle orecchie.
Mi alzai dal tavolino del bar dell’ultimo
piano, lui stava arrivando ed io lo volevo vedere per prima, per avere almeno
un istante di perfetta intimità visiva, che ci sarebbe poi stata giustamente
tolta dalla presenza di mia madre e dell’amica un po’ psicologa.
I suoi capelli, non così corti, per non lasciar
sfuggire la libertà dei riccioli, e il suo sguardo sincero e verde, attrassero
la mia attenzione ancor prima che lui, con un gesto galante, facesse un inchino
con la testa come faceva, da ateo ma rispettoso, ogni volta che entrava in una
chiesa, alzando le sopracciglia.
Ci eravamo riconosciuti, baciarsi sulle guance
e abbracciarsi fu il suggello d’una di quelle che si chiamano, secondo Goethe,
affinità elettive.
Io ero la io di allora, non la io di adesso, ma
ho sempre rispettato, amato quel momento, come un’intuizione sulla quale si
posa l’autostima di una donna, curiosa del mondo, per la quale l’amore non
sarebbe stato un programma conveniente.
Forse la consapevolezza di volere far parlare
la mia sensibilità, di liberarla verso chi sapeva capirla, al di sopra delle
differenze di origini e di età, insieme al piacere di differenziarmi dagli
altri, mi aveva già portato al punto fermo che mi fa andare avanti ancora adesso,
perciò mi innamorai.
Di certo l’amore era già nelle lettere
precedenti, in un pronome, nel cerchio di una a, nell’unire e alterare le
nostre realtà separate, nel volenteroso rumore della tastiera, seguito dal
rimprovero materno che ricordava la scuola l’indomani.
L’odore… l’odore e l’amore però, si erano uniti
solo nella presenza, erano stati più forti, per la prima volta della mia vita,
che le parole scritte.
Nelle mie letture immaginavo il mio futuro, e
facevo sì che il presente fosse degno di una tale immaginazione. Nelle mie
letture avevo già un ragazzo vicino, non ben delineato, avevo già un lavoro,
una famiglia. Nelle mie letture ero già adulta, adulta come credevo che fosse
l’età adulta.
Per fortuna sono brava nelle intuizioni, o
forse è l’immaginazione che poi plasma la tua vita, fatto sta che mi innamorai.
Tuttavia, uno può credere quanto vuole di
sapere già, di essere già capace, il futuro si fa comunque con esperienze che
non ci sono ancora.
Ebbi due altri fidanzati, dai quali imparai
molto, tanto che mi misi in dubbio su quasi tutto, tanto che credetti
nell’amore che ti insegna, che ti permette di darti agli altri sempre più e
sempre meglio.
Ma l’amore visto così era come un serpente
senza fine, che fagocitava per diventare più forte, lasciando le cose diverse
da come erano prima di incontrarle, ma allo stesso tempo annullandosi in una
leggerezza insopportabile.
Fui grata all’affetto riverente e sofferente di
questi amori, di come mi avevano curata, di come io avevo curato loro, ma
dovetti cambiare ospedale per recarmi
nel reparto dei malati terminali di vita, e preferii amare una sola persona per
sempre.
Adesso no, ancora non dico ch’io non ami anche
altri, ne amo e di continuo, il flusso della me di sempre perdura, sono un
albero con sempre nuove foglie.
Quando però qualcosa viene a nutrire il tuo
tronco, oltre la corteccia, oltre gli sguardi clandestini del vento (che pure,
inestimabile, mi avvolge sempre), devi restarci avvinghiato.
Innamorarmi di altri, nell’accezione che
perdura ancora in me, è allora forse una posa del mio carattere, un
travestimento ?
Lui però, di sicuro, no. Questo è l’amore per
me, all’età di 26 anni.
martedì 10 giugno 2014
Concerto per scricchiolìo di sedie /tutti i diritti riservati (elisa della martire)
Al centro
del palco una sedia vuota, di quelle che si trovano nelle scuole.
Entra
uno zoppo. Vi si siede a fatica. Cerca un appoggio per il bastone, non lo
trova, getta il bastone per terra, irritato.
Personaggio
1(professore) = ...Un male a una gamba...
Entra di
fretta una donna molto magra, portando con sé una sedia, vi si siede.
Donna
1 = La gamba come va ?
Professore =
Cosa vuole che le dica...Come sempre...un male...
Donna
1 lo guarda, con sguardo commiserante e scuote la testa =
No...no...Proprio non se lo merita. (nel frattempo entra il gendarme con la
sua sedia sottobraccio. Ci si siede abbastanza pesantemente.) Ha fatto
anche l'università !
Gendarme =
Qualcuno di voi ha problemi con la giustizia ?
Professore
= Questa è la cosa più stupida che io abbia mai sentito...
Donna 1 =
Il professore no...è un uomo per bene.
Gendarme scrutando
il professore = Cos'ha fatto lì ?
Professore =
Mi fa male una gamba.
Gendarme =
Non sono tempi sicuri. (la donna si dondola sulla sedia, apre la borsetta,
comincia a fare qualcosa, come la maglia) E poi...Sottolineo :
E' forse la sua gamba che le fa male, o lei che fa male alla sua gamba ?
Professore =
La prima ipotesi è la meno probabile. È escluso infatti che una gamba possa
agire in un modo o nell'altro, di sua volontà.
Gendarme =
Rimane dunque che è lei a fare male alla sua gamba !
Professore =
Questo è assurdo ! Perché dovrei fare del male alla mia gamba !
Donna
1 = Di certo il professore non lo ha fatto apposta...
Gendarme =
Taccia ! Taccia ! (Entra un altro Uomo con la sua sedia.) Si
dichiara dunque colpevole per aver lesionato la propria gamba
ripetutamente ?
(Entrano
due giovani con due sedie, si siedono e cominciano a pomiciare)
Uomo =
Eppure anche io...se la mia gamba non si comportasse bene...
Professore =
Colpevole ?
Gendarme =
Certamente !
Professore =
Perderei la mia sedia ?
Gendarme guardandosi
intorno = Questo è da vedere.
Uomo =
Che scomode...'Ste sedie...
Donna 1=
Senta, professore...Lei è sicuro di stare su una sedia adatta ?
Professore=
Mah...dopo anni è sempre la stessa. Poi uno ci si abitua.
Gendarme=
Niente è detto ! Può essere che dopo anni e anni di fedele servizio...una
sedia..track ! Ti tradisca.
Donna 1=
Dopotutto, anche il suo mal di schiena dura da anni.
Professore =
9 anni !
Gendarme=
Ma è inaudito !
Professore =
L'importante è non alzarsi !
Gendarme=
Già.
Uomo= Già.
Donna 1=
Già.
Donna
1 = Vero, si potrebbe perdere il posto. E poi così...sguarniti...Si
andrebbe a finire sotto i ponti.
Uomo =
Puntando verso il giovane che sta pomiciando si alza bruscamente in piedi.
Ma io
quello lo conosco !
La scena
si blocca mentre l'uomo passa davanti a tutti lasciando la sua sedia, entra un
vecchio lestamente, si siede al posto dell'uomo.
L'uomo
si contorce per cercare di riconoscere i lineamenti del ragazzo che pomicia.
Gendarme =
Lo dice a me ! Mio cognato commercia in sedie !
L'uomo
si siede sopra il vecchio, si rialza accigliato.
Il
vecchio non si sposta. L'uomo si ritrova in piedi, vaga per il palco.
Va verso
il ragazzo che pomicia.
Uomo =
Antonio !
Il
ragazzo si scuote e smette di pomiciare.
Ragazzo = Roberto !
Ragazzo = Roberto !
Si
abbracciano. La ragazza si allunga sulla sedia lasciata libera dal fidanzato.
Antonio=
Questa è la mia fidanzata, Sally.
Roberto=
Piacere, Roberto.
Sally=
Piacere.
Antonio=
Cosa ci fai qui ?
Roberto =
Ero venuto per il corteo...poi ti ho visto e...Adesso ho perso la mia sedia..
Antonio=
Davvero ?! Ciò non mi stupisce, di questi tempi...Ma tu, tu sei un uomo
colto, capace. Ce la farai.
Roberto=
Non lo so...sono troppo distratto...La volontà c'è ma...Sai, penso che di
questi tempi per avere una sedia seria ti devi fare furbo.
Antonio=
Prima una sedia ce l'avevano tutti, e sempre all'angolo perfetto, dove c'è
l'ombra. Quelle con lo schienale reclinabile...
Roberto=
Già, invece ora una scomodità...
Antonio =
Se ne trovi una appena appena decente devi tenere già conto dei soldi per il
fisioterapista, a correggerti la postura !
Roberto =
Con tutto il tempo che si passa oggi sulle sedie...
Sally= A
pensarci mi vengono i brividi.
Entra un
uomo su una sedia super-accessoriata, in pelle nera. Si mette al centro.
Dietro
di lui c'è una libreria piena di libri, egli ne prende uno, toglie il
cellophane nel quale era avvolto, lo guarda un po', fa una smorfia, se lo
appoggia sulle ginocchia.
Entra
suo figlio, un bambino, su una sedia come quella del padre, ma in dimensioni
ridotte. Si siede di fianco al padre.
Il padre
gli getta il libro.
Ricco =
Tò...Per te.
Figlio=
guardando il libro. A che mi serve ?
Ricco =
Non vorrai mica diventarmi ignorante ?
Nel
frattempo il « fidanzato » Antonio vuole riprendere il suo posto,
trova la fidanzata, la carezza sul viso, poi scosta un po' le sue gambe e cerca
di accomodarsi a fatica.
Figlio =
Di che parla ?
Ricco= Cose
importanti. È il primo libro che ho letto quando ero ragazzo. La Recherche di
Proust.
Il
figlio prova un po' a sfogliarlo.
Ricco=
Megara ! Megara !
Voce fuori
campo= Sììì ?
Ricco=
Dov'è John ? E i miei appuntamenti per oggi ?
Megara
entra trascinando una sedia confortevole ma più piccola, con un cagnolino sopra. Tutti lo guardano. Lei è
vestita da cameriera.
Megara= Sì
allora dunque.... (prende un'agenda)
Figlio=
Bravo cagnetto.
Megara= Gita
del signorino a Parigi....
Ricco=
Ah ! La gita ! Allora vengo con te, come abbiamo deciso ?
Figlio= Sì
papà....
Ricco= Ne
riparleremo. Cos'altro, Megara ?
Megara=...Ore
18 : appuntamento con T., per fondazione città.
Ricco= Ah,
sì ! Certo ! Quasi me ne dimenticavo ! Fallo entrare subito.
Megara= (Guarda
verso le quinte) Signore...sarà il caso ?
Ricco=
Perché ? Che c'è , insomma ?
Megara=
Signore...Quell'uomo non ha la sedia !
Ricco= Mia
cara...dobbiamo essere al passo coi tempi. Non rinchiuderci nelle nostre gabbie
mentali. E d'altra parte, che importanza ha ? Qui da me di sedie ne può
trovare quante ne vuole.
Megara
esce. Si fa avanti Roberto T. (uomo senza sedia di prima)
Roberto T.
= Buongiorno.
Ricco=
Buongiorno mio caro ragazzo ! Accom.... ehm... Megara ! La
sedia !
Megara
entra portando una sedia.
Roberto
T. la guarda, ci gira intorno, la scruta, poi ci si siede in modo anomalo, come
se stesse pensando a un'opera d'arte.
Ricco, accendendosi
un sigaro sottile = Sì, mi avevano detto che lei era un creativo.
Roberto T.
= E a me avevano detto che lei ha qualcosa da affidarmi.
Ricco = Non
precipitiamo. Sai, non mi conosci...Devo ammettere di essermi sempre occupato
di altro, io, accumulare ricchezze, far andare avanti la mia azienda...Insomma
impegni che mi si addicono ma che per me non sono tutto nella vita. Quindi mi
sono messo a pensare a un mio sogno nascosto : quello di fondare...Un
luogo in cui il cielo sia più puro, il sole consoli ma non scotti troppo, si
possa mangiare e bere a volontà, un luogo nel quale la gente venga attratta
naturalmente...Un nuovo agglomerato. Una città !
Roberto T.
= Una città !
Ricco =
Esattamente. Dove le persone possano migrare in tutta tranquillità, a patto
ovviamente di pagare un’esigua somma.
Roberto
T. = Interessante. E lei vorrebbe finanziare il resto ?
Ricco =
Certo ! Le costruzioni essenzali, moderne, confortevoli. In cambio, la
gente avrà la sua felicità, potrà svolgere le attività ricreative che vorrà,
senza venire disturbata dalle troppe leggi vigenti nelle grosse capitali di
oggi. Sarà grande quanto basta da non essere di provincia, sarà giovane e
soprattutto comoda. E lei, ragazzo mio, la progetterà ! Ho sempre dato
estrema importanza alle idee dei giovani.
Roberto
T. = Molto interessante. E dove verrà costruita ?
Ricco =
Su una pianura di mia proprietà, è un bel luogo di passaggio per tanti che
lavorano nel commercio, saranno stanchi abbastanza da sostarvi almeno un
po'...E non se ne andranno più ! Comunque, per questi dieci giorni sarò
fuori...Perciò dovrai iniziare tu da solo, poi verrò a controllare il lavoro
che hai fatto.
Roberto=
Accetto volentieri, lei mi lascia campo libero ?
Ricco= (guardandolo
attentamente) Certo, lei mi dà fiducia, caro ragazzo. In ogni caso bisogna
pur rischiare. Sono sicuro che mi presenterà tra breve un team di lavoro
adeguato. Può tenere la sedia come anticipo.
Se ne va
il Ricco, seguito dal figlio, facendo
scorrere le sedie.
Roberto (rimasto
solo, inizia a giocare con le sedie, la sua e quelle dei presenti, parlando da
solo) = Grandi onori. Le porte si aprono. Pfum ! Appare il
teatro . Migliaia di file di sedie popolate dalle più varie tipologie di
umanità, ognuna impegnata in una sua attività. C'è chi fa scricchiolare
leggermente la sua, con le gambe accavallate, chi ci mangia sopra, chi dorme,
c'è chi conta le altre sedie e chi non si alza nemmeno per andare alla
toilette. C'è chi ci fa all'amore. Chi specula sui profitti degli altri e chi
guarda. Chi applaude, chi parla col vicino. Alcuni stanno chini, si direbbe che
si stiano leccando delle ferite come lupi e invece...Parlano al cellulare. Di
nascosto, così il vicino, che potrebbe essere anche la moglie, o peggio, la
ex-moglie, non lo vede.
Ne ho visti
tanti appollaiati sulle loro sedie come se fossero fortini o vascelli, o castelli
medioevali con tanto di fossato e di coccodrilli.
I giovani
occupano con non-chalance un posto che è loro quasi controvoglia, deformato,
alcuni riescono a personalizzarlo, gli anziani non se ne vogliono andare più.
Ma è il caso che sceglie l'andamento delle sedute, caso che si può prevedere
grazie a qualche trucchetto.
Guardiamo
le nostre città : quanti posti ci sarebbero, non ancora sedie, ma che
potrebbero diventarlo ? Lo spazio è immenso e ce n'è per tutti. Userò
questo principio su una piccola superficie, da cui poi le persone potranno
prendere esempio. Creare altre città. Mille. Diecimila. A loro immagine. Non
solo la loro singola, piccola sedia. Ma città. Mondi.
Se ne
vanno, uno alla volta, i presenti, in qualche modo. Rimane solo il cane sulla
sua piccola sedia. Poi anche il cane scende dalla sedia, esce. Rimane una sedia
vuota. Arriva l'anziano signore e la
occupa come aveva fatto prima con la sedia di Antonio. Cadono dei coriandoli
luccicanti, una luce accecante si accende, la Morte si porta via l'anziano
signore, che stringe a se la piccola sedia e viene spinto fuori.
Preparazione
della città.
(in
preparazione)
Inizia
la Scena del concerto, al quale anche il ricco mecenate assiste. Roberto ha
predisposto tante sedie. Su ognuna c'è una persona che fa un suono. Chi emette
una risata, chi fa scricchiolare la sedia, chi dà colpi secchi, chi riproduce
piccoli ritmi. Qualcuno russa, altri lanciano dadi, uno recita delle poesie,
qualcuno sale e scende freneticamente dalla propria sedia, due hanno un
rapporto sessuale.
Roberto
è diventato il direttore d'orchestra.
Alla
fine il sipario si chiude, si apre un'altra scena nell'atrio del teatro, dove
dei signori molto eleganti fumano. Tra questi il ricco mecenate, irritato.
Ricco =
Così non va, non va, ragazzo. Non è proprio quello che intendevo. Certo...Devo
ammettere proprio di aver visto la mia idea stravolta completamente. Questi qua
devono essere i tuoi...collaboratori ?
Roberto =
Sì, vede, lei mi ha dato campo libero, cosa assolutamente indispensabile in
arte, ed io...ho dato voce ai bisogni fondamentali di questa gente. Questi qui.
Che stanno tutti a guardare !
Ricco =
Ma non va, non va ! Dov'è il benessere ? Dove sono i proventi ?
Da me non avrà un centesimo ragazzo mio, non uno di più. Mi rendo conto di
essere un vecchio utopista...Se ne va strattonandogli la sedia.
Una voce
femminile = Roberto...Roberto...
Roberto =
Maria, sei tu ?
Maria=
Roberto. La città si è ingigantita. Ora sono in troppi. Stanno facendo la
rivoluzione. Tra poco è previsto il via libera al fuoco.
Roberto =
Devi andartene. Lontano. Corri. Su una parte deserta del mondo. Non tornare più
indietro.
Maria =
Vieni con me.
Roberto (accarezzandola)=
Sono pochissime le donne come te, Maria. Vattene.
Maria= Dove
vuoi che vada ?
Roberto = Dove desideri, ma...Se vieni con me, non mi domandare « dove andremo »
Roberto = Dove desideri, ma...Se vieni con me, non mi domandare « dove andremo »
Maria= A
che stai pensando ?
Roberto =
Ora solo alla tua pelle. No...Non solo...alla città.
Maria =
Andiamo ?
Roberto (prendendole
la mano) = Andiamo.
Si
sentono scoppi lontani di guerra.
Escono.
Appaiono
dei cartelli su cui è scritto « Roberto T. CONDANNATO ALL'ESILIO »
Su uno
schermo al centro delle dichiarazioni di Romeo V.
Roberto
vaga sulla scena. Ai suoi passi appaiono città idealizzate di tutti i secoli
passati, la Atene del V sec., Atlantide, Ferrara del '500...
Roberto =
« Buonanotte
sogni cominciati
Che non
hanno il tempo di finire
Più la
notte non finisce mai
Meno sento
il bisogno di dormire »
Delle
guardie vestite di nero lo portano via dietro le quinte.
Segni di cortocircuito.
Luci
illuminano un recinto. Dentro al recinto gli abitanti (quelli della scena delle
sedie) sono abbigliati in modo più ricco, stanno seduti tutti uguali, a
guardare verso il pubblico.
Gli
abitanti applaudono. Poi si alzano, si mettono le giacche. Escono.
Resta il
figlio di Romeo V. che carezza il cane, guardando fisso di fronte a sé, con un
ghigno.
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