"Se potessi tornare indietro al solco di Aprile" si disse Giustino, e non era un giardiniere, non era un becchino, non era uno scultore.
Tergiversare gli piaceva, davanti ad un bicchiere pieno di caffè schifoso si alleggeriva del sudore amaro del non fare niente.
Guardava fisso davanti a sé il sottotetto che spenzolava un po', mezzo staccato.
Nel legno scuro vi erano incisi nomi di donne, con a fianco una data, scritta con terrore, e violenza.
Marie..............28 Gennaio
Sole...............13 Marzo
Eglantine..........16 Aprile.
Il solco di aprile...Era una buona annata, su questo non ci potevano essere dubbi, ma aprendo quel mese nei suoi occhi mesti anche un cieco avrebbe potuto vedere una strana barzelletta, impaziente d'essere udita.
giovedì 30 aprile 2009
martedì 28 aprile 2009
Suona la fisarmonica di carta
Mai tanto bello come...
se io non lo avessi già mostrato
Mai tanto bello come...
se il gatto non ci giocasse già per terra
Mai tanto bello come...
se io non fossi avanzata
lungo il fiume, la fronte in fiamme.
Mai tanto bello come...
Se io non fossi stata tanto io
ma un poco mi fossi cancellata
Allora forse avrei avvolto
questa farsa come la pergamena
di un programma di carta.
se io non lo avessi già mostrato
Mai tanto bello come...
se il gatto non ci giocasse già per terra
Mai tanto bello come...
se io non fossi avanzata
lungo il fiume, la fronte in fiamme.
Mai tanto bello come...
Se io non fossi stata tanto io
ma un poco mi fossi cancellata
Allora forse avrei avvolto
questa farsa come la pergamena
di un programma di carta.
mercoledì 22 aprile 2009
Senza zampe lo scarafaggio è sordo
Così finiva ieri notte. Di quelle barzellette che Chiara racconta ridendo sempre. Le barzellette sono la vita circoscritta, sono i poemi cavallereschi del nostro tempo.
Una notte finita bene: con due dolci paste prese dal pasticcere notturno (fucina pasticcera, si dovrebbe chiamare) tra cui il millefoglie alla crema perché al cioccolato era finito.
Attendo l'esame di tedesco che si terrà tra due ore, fremo, in tedesco.
Studiare lingue è una liberazione, è bello, lo consiglio.
Sembra caldo ma non lo è. Mi stringo addosso il poncho blu. Qui in biblioteca al piano di sotto ho appena visto una mostra di arte del riciclo. RiartEco. Quelle cose che piacciono a me.
Una notte finita bene: con due dolci paste prese dal pasticcere notturno (fucina pasticcera, si dovrebbe chiamare) tra cui il millefoglie alla crema perché al cioccolato era finito.
Attendo l'esame di tedesco che si terrà tra due ore, fremo, in tedesco.
Studiare lingue è una liberazione, è bello, lo consiglio.
Sembra caldo ma non lo è. Mi stringo addosso il poncho blu. Qui in biblioteca al piano di sotto ho appena visto una mostra di arte del riciclo. RiartEco. Quelle cose che piacciono a me.
martedì 14 aprile 2009
lunedì 13 aprile 2009
Conversione
Il mio cuore è una sbarra di ferro arrugginita
dietro c'è un animale dipinto e inutile
che sta seduto e si guarda allo specchio
Ascolto, ma cosa mi succede?
Forse è l'interferenza sbagliata.
Il mio nome è una sbarra di ferro arrugginita
dietro c'è una casa dipinta e inutile
che sta seduta e si guarda su una pozzanghera
Ascolto, ma che cos'è?
Forse è il paese sbagliato.
Il mio umore è una sbarra di ferro arrugginita
dietro c'è una luna rotolante, non è dipinta e non è inutile
anche lei sembra stare seduta e guardarsi
Ascolto, ma che cos'è?
Una forza inaudita.
Il mio cuore è una sbarra di ferro arrugginita
dietro c'è un animale dipinto e inutile
che sta seduto e si guarda allo specchio
Ascolto, ma cosa mi succede?
Forse è l'interferenza sbagliata.
Il mio nome è una sbarra di ferro arrugginita
dietro c'è una casa dipinta e inutile
che sta seduta e si guarda su una pozzanghera
Ascolto, ma che cos'è?
Forse è il paese sbagliato.
Il mio umore è una sbarra di ferro arrugginita
dietro c'è una luna rotolante, non è dipinta e non è inutile
anche lei sembra stare seduta e guardarsi
Ascolto, ma che cos'è?
Una forza inaudita.
venerdì 10 aprile 2009
giovedì 9 aprile 2009
L'herbe: sur l'herbe je n'ai rien à dire
di Raymond Queneau
L'herbe: sur l'herbe je n'ai rien à dire
mais encore quels sont ces bruits
ces bruits du jour et de la nuit
Le vent: sur le vent je n'ai rien à dire
Le chêne: sur le chêne je n'ai rien à dire
mais qui donc chantonne à minuit
qui donc grignote un pied du lit
Le rat: sur le rat je n'ai rien à dire
Le sable: sur le sable je n'ai rien à dire
mais qu'est-ce qui grince? c'est l'huis
qui donc halète? sinon lui
Le roc: sur le roc je n'ai rien à dire
L'étoile: sur l'étoile je n'ai rien à dire
c'est un son aigre comme un fruit
c'est un murmure qu'on poursuit
La lune: sur la lune je n'ai rien à dire
Le chien: sur le chien je n'ai rien à dire
c'est un soupir et c'est un cri
c'est un spasme un charivari
La ville: sur la ville je n'ai rien à dire
Le coeur: sur le coeur je n'ai rien à dire
du silence à jamais détruit
le sourd balaye les débris
Le soleil: ô monstre, ô Gorgone, ô Méduse
ô soleil.
Su questa poesia ci sono stata ore. Ma chi erano i surrealisti? E come mai mi emoziona così tanto tutto questo?
L'herbe: sur l'herbe je n'ai rien à dire
mais encore quels sont ces bruits
ces bruits du jour et de la nuit
Le vent: sur le vent je n'ai rien à dire
Le chêne: sur le chêne je n'ai rien à dire
mais qui donc chantonne à minuit
qui donc grignote un pied du lit
Le rat: sur le rat je n'ai rien à dire
Le sable: sur le sable je n'ai rien à dire
mais qu'est-ce qui grince? c'est l'huis
qui donc halète? sinon lui
Le roc: sur le roc je n'ai rien à dire
L'étoile: sur l'étoile je n'ai rien à dire
c'est un son aigre comme un fruit
c'est un murmure qu'on poursuit
La lune: sur la lune je n'ai rien à dire
Le chien: sur le chien je n'ai rien à dire
c'est un soupir et c'est un cri
c'est un spasme un charivari
La ville: sur la ville je n'ai rien à dire
Le coeur: sur le coeur je n'ai rien à dire
du silence à jamais détruit
le sourd balaye les débris
Le soleil: ô monstre, ô Gorgone, ô Méduse
ô soleil.
Su questa poesia ci sono stata ore. Ma chi erano i surrealisti? E come mai mi emoziona così tanto tutto questo?
martedì 7 aprile 2009
Il destino verde
07-04-2009
C'era una volta una ferita nera, e più diventata nera più si infettava. Aveva sentito dire dal corpo che, un giorno, tutte le ferite sarebbero diventate verdi, che avrebbero fatto nascere dei giardini. Inoltre si diceva che tutti coloro che quelle ferite avevano provocato: spilli, asce, coltelli, pallottole, unghie, morsi, spigoli acuminati, ecc. si sarebbero uniti tutti insieme a danzare nel giardino.
La ferita credeva nel suo destino ma non poteva non rabbrividire agli agenti esterni, che nel frattempo entravano in contatto con la pelle viva.
Questa misera ferita era tanto speranzosa che non si chiudeva, non si rimarginava mai, nell'attesa, diventando sempre più infetta.
Tutti avevano compassione di lei, nessuno credeva alla voce del destino verde, perché il suo aspetto così malridotto sovrastava qualsiasi immaginazione di poterla un giorno vedere salva. Passavano davanti a lei vento, sassolini, pollini, sporcizia, senza pietà e, secondo la loro natura, dovevano sporcarla e torturarla, ma la ferita non se la prendeva.
Non si poteva dire che la sua fosse una scommessa, più una lotta all'ultimo sangue. Un giorno la ferita capì che non avrebbe più potuto scegliere di rimarginarsi, era troppo tardi e l'infezione raschiava il midollo, si rattrappì e morì.
Per un attimo regnò il silenzio poi tutto il corpo si diede un ultimo abbraccio e morì anch'esso. Infatti, per una piccola ferita, può morire tutto un corpo.
Il destino sembrava aver mentito alla ferita, quando i corvi cominciarono a lacerare il corpo. Tutti insieme lo aprirono con forza come se dovesssero sollevarlo in aria e non riuscissero. Invece lo sparpagliavano sempre di più, e pioggia e vento lo riversavano, e i bambini vi giocavano sopra, e nonne si sedevano a raccontare sopra storie e sortilegi.
Tagliaboschi vi spezzavano i tronchi con le asce dure e fanciulle si arrestavano sempre lì a sbucciare le castagne. Il corpo divenne irriconoscibile. Arrivò la primavera e una coltre soffice e birichina vi si installò, anzi vi spuntò sopra, era una coltre...verde.
C'era una volta una ferita nera, e più diventata nera più si infettava. Aveva sentito dire dal corpo che, un giorno, tutte le ferite sarebbero diventate verdi, che avrebbero fatto nascere dei giardini. Inoltre si diceva che tutti coloro che quelle ferite avevano provocato: spilli, asce, coltelli, pallottole, unghie, morsi, spigoli acuminati, ecc. si sarebbero uniti tutti insieme a danzare nel giardino.
La ferita credeva nel suo destino ma non poteva non rabbrividire agli agenti esterni, che nel frattempo entravano in contatto con la pelle viva.
Questa misera ferita era tanto speranzosa che non si chiudeva, non si rimarginava mai, nell'attesa, diventando sempre più infetta.
Tutti avevano compassione di lei, nessuno credeva alla voce del destino verde, perché il suo aspetto così malridotto sovrastava qualsiasi immaginazione di poterla un giorno vedere salva. Passavano davanti a lei vento, sassolini, pollini, sporcizia, senza pietà e, secondo la loro natura, dovevano sporcarla e torturarla, ma la ferita non se la prendeva.
Non si poteva dire che la sua fosse una scommessa, più una lotta all'ultimo sangue. Un giorno la ferita capì che non avrebbe più potuto scegliere di rimarginarsi, era troppo tardi e l'infezione raschiava il midollo, si rattrappì e morì.
Per un attimo regnò il silenzio poi tutto il corpo si diede un ultimo abbraccio e morì anch'esso. Infatti, per una piccola ferita, può morire tutto un corpo.
Il destino sembrava aver mentito alla ferita, quando i corvi cominciarono a lacerare il corpo. Tutti insieme lo aprirono con forza come se dovesssero sollevarlo in aria e non riuscissero. Invece lo sparpagliavano sempre di più, e pioggia e vento lo riversavano, e i bambini vi giocavano sopra, e nonne si sedevano a raccontare sopra storie e sortilegi.
Tagliaboschi vi spezzavano i tronchi con le asce dure e fanciulle si arrestavano sempre lì a sbucciare le castagne. Il corpo divenne irriconoscibile. Arrivò la primavera e una coltre soffice e birichina vi si installò, anzi vi spuntò sopra, era una coltre...verde.
lunedì 6 aprile 2009
Non sto male: lo spasso per me
A mensa si parla spesso ma a volte le frasi si bloccano, si fermano, fioccano urli di coscienza, di responsabilità animalesca. Si arriva a toccar corde poco commensali, si parla della visione esterna, dell'abbuttamento e della sua esistenza (o n'esistenza), della volontà. Ma non in ciò di cui si parla sta ciò che si dice. Nel chinare la testa, nel mancare (per il rumore) qualche parola definita, nel legame interiore dell'affetto di fondo. Allora ci si accorge e ci si ricorda che la mensa è tutto un mondo, che non possiamo rotearci attorno senza toccarlo od esserne condizionati. Nell'atto della nascita sta la nostra prima volontà. Come già ne parlavo con alessandro. Eppure dopo avviene una sorta di pace: di succedersi di nascite e di disfacimenti, nei quali possiamo ben intuire il nostro ruolo, forse. Il nostro ruolo è non aver nessuna importanza, perciò possiamo evitarci stati d'animo infruttuosi che non ci piacciono sgomentosi irritanti.
Tutto dipende dalla nostra volontà. Ma la nostra volontà dipende dal tutto. Il nostro livello non è che il livello 0, in cui possiamo chiudere la penna in un bel cerchio.
Ciò non mi rattrista, ha ragione dimitri, occorre provare, perlomeno, a togliersi di dosso queste pelli morte. Il tiepidume atroce del sentirsi abbuttati.
Scuotersi appena dalla verità con la verità, ritrovarsi felici e coscienti e pure pieni, pieni di spasso.
Tutto dipende dalla nostra volontà. Ma la nostra volontà dipende dal tutto. Il nostro livello non è che il livello 0, in cui possiamo chiudere la penna in un bel cerchio.
Ciò non mi rattrista, ha ragione dimitri, occorre provare, perlomeno, a togliersi di dosso queste pelli morte. Il tiepidume atroce del sentirsi abbuttati.
Scuotersi appena dalla verità con la verità, ritrovarsi felici e coscienti e pure pieni, pieni di spasso.
Sembrerebbe, ma nessuna, nessuna proprio nessuna salvezza
Recuperare il proprio cipiglio gettandosi nel sentimentale? E' come saper alzare il sopracciglio ma l'altro muoverlo male.
Scrivere poesie ed amalgamarsi nel nonnulla? Nient'altro che ipocrisie di bella fanciulla.
Fòle, neanche l'amore, mi elimina intorno le parole, queste parole o forse sensazioni aquiloni nulla neanche un incontro surreale un matrimonio tra il cielo e l'inferno.
Tutto è andato male tutto si sfascia, ed eccomi ancora nella pausa, tra il delicato appassionarmi e la sensazione ('strafiga, direi, quasi compiacente) che il tutto taccia.
Scrivere poesie ed amalgamarsi nel nonnulla? Nient'altro che ipocrisie di bella fanciulla.
Fòle, neanche l'amore, mi elimina intorno le parole, queste parole o forse sensazioni aquiloni nulla neanche un incontro surreale un matrimonio tra il cielo e l'inferno.
Tutto è andato male tutto si sfascia, ed eccomi ancora nella pausa, tra il delicato appassionarmi e la sensazione ('strafiga, direi, quasi compiacente) che il tutto taccia.
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