giovedì 1 aprile 2010

Il castello d'oro

Cosa fanno il nostro corpo e le nostre mani, su di noi? E' come una mappa di un mondo che non possiamo mai raggiungere. Eppure c'è chi crea opere immortali, chi sceglie di sacrificarsi, altri che amano ad arte e donando le migliori delizie.
Le nostre doti non devono rimanere chiuse in uno scrigno. Se finisce, cade o si crepa ciò che era stato creato noi perdiamo...Non so dire cosa perdiamo. E poi c'è chi dice che noi stessi siamo stati creati proprio come delle opere d'arte. Ma dio che bisogno aveva di farlo, se è tanto perfetto? E cosa prova, al momento della privazione, della morte di uno di noi? Se dio si eterna in noi, nella fede, o come la vogliamo chiamare, cosa succede in lui quando noi moriamo? Io quando perdo uno scritto, quando lo dimentico o lo "uccido", quando rimane monco o perdo nell'aria un'idea, è come se perdessi un castello d'oro, che dà su montagne nuove, un panorama sconosciuto, che a volte diventa arido e orribile. Allora mi sento come se anch'io mi seccassi, guardando dalle finestre di quel castello d'oro.
A volte il lavoro si ferma ancora prima che io possa contemplare bene dalla finestra, a volte l'aria è più forte dell'oro del castello e tutto svapora via. Non riesco a lasciare in pace i miei castelli, tutti crollano, per un motivo o per l'altro, ancora prima di poter dare il primo ballo, e invitare ospiti, e abbellire con colori e nastri quello che è solo un castello della mia anima. Quanto vorrei essere meno razionale, esserlo il minimo, come una mollichina caduta dal coltello del pane. Come vorrei non sentire il bisogno di esprimere quello che sento, oppure, sentendolo, farlo gioiosamente e imperiosamente, come l'imperatrice di quel castello. Ma i lacché sono disubbidienti e presto cade tutto nell'anarchia, nel dubbio, nel soqquadro, nel sogno. Nell'incubo, nella ripresa della parola dopo la magia dello spettacolo, o peggio, all'intervallo. Chi ha inventato gli intervalli nei teatri? Nei pochi momenti in cui non mi scoccio perché qualcuno chiede sempre: "ti sta piacendo?" entro però in un sogno pieno di ombre, rivedo i personaggi della messinscena, e tutta la finzione diventare la mia finzione, più reale ancora dentro la mia lente di ingrandimento interiore, mi fa tanto male.
E si riempiono di mostri le sale, le scalinate, le terrazze, si riempiono di voci che ho creato io stessa e che non riconosco più. Ecco che inizio a dipingere il castello d'oro dei colori dell'ambiente circostante, per ingannare la vista, ma in quei momenti l'oro diventa più pesante ancora, più luccicante, e mi prende in giro, diventa rocca silenziosa, una rupe, da cui pendo inerte.
Quel castello non sono io. In realtà non so più dove sono io. E se mi perdo, mi perdo comunque, sempre in solitudine, perché l'uomo pensa di potersi eternare, di poter vivere dopo la morte? Perché vuole lasciare qualcosa? E non si impegna invece a poter vivere, a capire che cos'è vivere veramente. Che importa se moriamo raffazzonati, raccolti in un corpo a malapena? Noi amiamo per lasciare per sempre, l'unica cosa in cui siamo bravissimi è lasciare per sempre. Ma cosa lasciamo, questo non ci interessa più.

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