venerdì 30 settembre 2011

atri bui

Il mare come una musa scontrosa rigetta tutte le poesie che trova, siano esse tronchi, reti, sassi e vetri. Il mare più grosso è dentro di me, lo guardo come una bambina da dietro un vetro appannato. Ci sono carezze alle quali non è giusto sottrarsi.
Raccolgo con il pane lo sciroppo d'acero rimasto nel piatto. C'è in me un po' del quadrupede, ho due zampe al mare e due in montagna, la montagna dalla quale la mattina presto vedevo e bevevo senza dormire.
Bevevo liquido rosa dell'alba, a stomaco vuoto, un sapore che non posso più sentire adesso. Le zampe che erano al mare invece nuotavano già, come se cercassero tra i vestiti di una bancarella, spostando l'acqua e rinnovando il disordine.
Fatico a trovare quella forma che sembrava adatta a me, forse posso fare tutto, forse non dovrei fare niente. Anche il poco asfalto che mi slanciava giù dalla piccola montagna appenninica, un colle piuttosto, oppure la mente mi si confonde, e ritornano i colli dell'altra mia vita, ritorna il mio viso che ho imparato a truccare, a impiastricciare, anche l'asfalto sembrava armonioso.
Come dentro a volte appaiono le durezze del carattere, quelle tanto insegnate. Ma chi ha il coraggio di deprecarle? Sono queste che ci salvano, persino dal linguaggio. Ci salvano però senza torpore.

giovedì 29 settembre 2011


Ὁ βίος βραχύς, ἡ δὲ τέχνη μακρή, ὁ δὲ καιρὸς ὀξύς, ἡ δὲ πεῖρα σφαλερή, ἡ δὲ κρίσις χαλεπή

(Ippocrate)

Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum periculosum, iudicium difficile

domenica 18 settembre 2011

Addio, cosa sogno cos'è questa moda di vivere
Che bandiera sventola sulla tua faccia
Il fresco sapere. Mi addormento
In mezzo alle bare e ancora sogno
In mezzo al cemento armato.
Ma non durerà per sempre questo
Per me.

venerdì 9 settembre 2011

Nascita (E. Della Martire)

Passo in mezzo ai filari di uva
La notte è spaventata dalla luna
Il décolleté delle stelle si sporge mentre guardano
Questi grossi chicchi che a descriverli
già li bevo.
Ho tormentato mia madre nel suo ventre, poi lei
si è addormentata.
Allora un sogno è passato piano piano
Come un bicchiere tiepido alle labbra.
Ho visto qualche goccia su di lei, così rossa
e nell'allegrezza del vino decisi:
sarei nata.

Consolatrice (E.Della Martire)

Gola secca donna greca
piena di miglio saraceno
Troppo ho guardato la tua femminilità
E mi sono illusa guardando.
Da dove viene il sogno che ricevo
tutte le notti.
Sei tu la madre delle veggenti?
E nel tuo sguardo semplice
Nei panni stesi, non nascondi
un mal di Sicilia?
Viva le tue mani ballerine
Che tolgono i miei problemi
e l'infinità delle parole mie
Contro una tazza di caffè corto.

Aprile nella città lasciata (Elisa Della Martire)

Vìola l'aprile la viola
I fiori bandiere di dimenticanza
agli ubriachi che si perdon tra le giostre
sfarfallano addosso, e unge
l'oscurità dei mendicanti assetati
Addosso ai marciapiedi come
giacche a vento sgonfie.

Tutti i palazzi, i guardaroba addormentati
E i baffi e le stanze calde con i sigari
Ma soprattutto i libri protetti ed accucciati
Di qualche professore in fieri.
Ma fuori, chi spia dalla finestra
è una sconosciuta, oggi
E tutte le sconosciute che di notte
girano sono sole sembrano prostitute
Perché ti chiedi: dove va tanta bellezza
Sprecata?
Ed hai capito la fossa delle Marianne.

C'è il capitolo dei bambini:
il crocevia dei sogni soufflè
A pieni polmoni. Lì ti piace
Allentare il passo e ti ricordi di te
E non c'è mai letteratura di troppo nell'infanzia
I tuoi ricordi sono vapori di draghi
ormai non esistono, forse solo poco.
Finché qualcuno non li percepisce e ci crede.

Per una volta provi a entrare in quella porta,
che passandoci trovavi sempre aperta
Nell'aria si rilascia il tuo stato depravato
dolce delicato ladro di coccole buie.

Passi davanti alla pasticceria
E di nuovo l'odore di donne ti sembra niente
I dolciumi appena sfornati penetrano già il tuo corpo
Ma vedi non bastano le tue monetine,
bisogna entrarci senza scomporsi
In quel posto di esploratori.
Il cartoccio bianco e profumato
ricorda tua madre e un piccolo insegnamento.

Poi giungi alla piazza l'inizio del percorso domestico
Verso una camminata che sembra appartenerti
La luce è ormai sviata dai secondini
di quelle gabbie profonde. Tutti gli uccelli
che corrono cantano la vita anche qui.
Cantano a nome delle formiche e
degli spaventosi ratti che si nascondono.

Ti accorgi che sei una delle forme di vita
E torni a casa geloso le punta delle dita
Sfrigolanti di non sai ancora cosa
Ci bevi sopra acqua di fontana
Che trovi più scialba di una volta.
Cade un po' di zucchero a velo
E tu sali al portone di casa.