sabato 14 aprile 2012

Prologo

I

La grancassa metropolitana batté anche quel giorno per me il suo ritmo consenziente. L'autobus, unico essere a dissentire, serpeggiò fuori dalla portata di una decina di ragazzi che l'avevano perso bighellonando. I ragazzi correvano, l'autobus chiudeva le porte. I ragazzi correvano, l'autobus partiva. I ragazzi correvano, l'autobus se ne andava avanti. I ragazzi correvano, l'autobus se ne andava lontano. I passeggeri dell'autobus esultavano davanti alla faccia furiosa degli orfani-di-autobus, fuori.
- Tiè!!! - pensavano. L'autobus era perso.
Oppure non pensavano niente come me, che toccavo la gamba di Milena spostandole la gonna. La gamba era gelida, così gelida da spezzare ogni sortilegio. Ma le tirai su leggermente la gonna per far sì che il sole la scaldasse un po'.
Lei mi guardò con quegli occhi che avevano bisogno delle ciglia per passare dalla faccia che credeva lei alla faccia che volevo io.
Tutto era perfetto. Le sue gambe erano ancora gelate, si sarebbe detto che fosse una morta, se non fossi stato sicuro del mio presente, del mio gusto, e del mio ardore per lei. Le scalai la schiena con le dita.
Tutto sembrerebbe così facile ma, sapendo come ci siamo incontrati io e Milena, si capisce che non lo è.
I passeggeri pensavano - Tiè!!! - io toccavo la sua gamba gelata, poi lei si mise a parlare al telefono.

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