sabato 14 aprile 2012

L'incontro

II

Eccomi qua. Marocco-Milano sola andata. Durante il viaggio la gente mi guarda compassionevole, mi sono sempre fatta domande su Milano. Non sono affatto compassionevoli perché sanno la mia direzione, o il mio passato. Sono compassionevoli perché non vedono il mio viso e non vedono me, dentro.
Ma a questo mio velo ce li faccio abituare io...Non è facile abitare un corpo di donna e il mio, anche se coperto, lo abito orgogliosamente.
Non abbiamo particolari problemi in patria, perlomento la mia famiglia. Ancora delle persone pensano che il marito possa maltrattare la moglie, che la donna non dovrebbe mai chiedere il divorzio, ma non è il caso di casa mia, per fortuna.
Ho voluto l'Italia perché le mie amiche sono andate in Francia e a me non andava per nulla. Sin dall'infanzia il francese parlato a scuola non mi ispirava niente di buono. Una lingua di carta, ecco.
All'inizio pensavo che mi guardassero così per via di Milano. Mi sono detta: "Ma è una città così terribile? Perché hanno tutti un viso da funerale?" Poi mi sono resa conto che avevo qualcosa di più vistoso del mio viaggio: il velo. Lo vedono come il lutto della mia femminilità. Forse vale così per le altre, io sono diversa.
Non che per essere diversi ci sia bisogno di un velo. Sotto il velo ho studiato anche filosofia e mi sono ficcata in testa cose per niente sane, lo so.
Per esempio Milano, non la vedo come una brutta città. Riserva sorprese la sua bellezza casuale, i suoi scorci caldi nel grigio.
Niente a che vedere con il Marocco, certo, la terra dei miei padri, lucente e ricca, ricca come mai me ne ero resa conto prima.
Qui nelle facce riesco solo a vedere la strafottenza dei paesi europei, la luce dei negozi uguali dappertutto, le pance piene e soddisfatte di chi non immagina più molto diverso né se stesso né la propria città né il mondo.
Quando si sta troppo bene alcune facoltà si addormentano, quando altri cominciano a invidiarti la nazionalità sei fritto, dal tuo piedistallo infiocchettato di stupide bandiere non ti smuovi più.
Lo so, vi lascio la bandiera, mi tengo il velo. A ognuno il suo. Ma non vorrete dirmi che girare con il velo è altrettanto vistoso che distribuire le proprie foto semi-nuda su un social network? Prima di voler ficcare il dito nel mio velo pulitevi la suola delle scarpe.
Un ragazzo seduto di fronte a me si alza, si guarda intorno alternativamente in ogni direzione. Mi dice, in un vero tono da sbruffone:
- E' sola signorina?
- Sì che sono sola. - rispondo - Che vuole? - non mi sono mai piaciuti gli intermezzi retorici e non mi sembra il tipo da offendersi. Probabilmente si sarebbe sentito stuzzicato.
- Ah.....fiuu...bene. Volevo parlare con lei e non sapevo se avessi il permesso.
- Ho il velo ma non sono prigioniera!
Il ragazzo ha l'aria semplicemente incuriosita, e un fare disinvolto che ho visto in qualche vecchio film italiano.
- Io sono Salvatore, lei come si chiama?
- Milena - rispondo.
- Ha l'aria d'essere molto giovane, è così?
Sono come incandescente, deve essere uno stregone o il viaggio ha funzionato nella mia mente come ingresso verso nuove dimensioni; fatto sta che, stanca e con i sensi bene attenti, non mi sento per niente infastidita da quest'incontro.
- Ho 18 anni.
Che strano profumo emana! Il profumo di una specie umana nuova, unita alla spavalderia così familiare del mercato di Marrakech.
La navetta si ferma e dobbiamo prendere i bagagli e uscire, il più in fretta possibile, a giudicare dal ritmo della folla.
Non voglio però perdere questa mia prima conoscenza, gli dico:
- Sono diretta a questo indirizzo, possiamo vederci a volte, scrivimi.
Salvatore prende il foglio in mano con evidente stupore, rimane fermo e mi guarda.
Per davvero non so quale follia mi abbia preso, ho lasciato il Marocco e anche un po' la me marocchina, sono una marziana e le persone sono come corvi che si appoggino sulle mie braccia.
Amo questa sensazione, e spero tanto che quei corvi non comincino anche a cibarsi di me, prima o poi.

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