martedì 13 gennaio 2009

Agitezza e stanchitazione 11/01/2009

Queste dita, vorrebbero essere da tutt'altra parte, piuttosto che addosso alla penna. Ma non ci posso fare niente se la notte rallenta l'avvenire, rendendo difficile vedere e sapere.
Tutti i pensieri hanno fatto la muffa delle preoccupazioni sulle pareti della mia testa, e non mi sembra di poter prendere sonno senza fare ancora un'ultima cosa.
La verità si sentirà più nelle mie attività della notte o in quelle del giorno? Ora che il danno del mio essere sveglia è già avanzato ho visioni di dita nere e percezioni di rumori inesistenti.
Il torsolo di ciò che mi è rimasto dal giorno ora me lo vorrei ficcare dentro, divorarlo come faccio con molto di ciò che è fuori da me.
Le finzioni e le superfici vengono rigurgitate dal sogno ancor prima del suo sopraggiungere, e cambio la realtà proprio quando non m'è piaciuta. Il commestibile esercito dei miei scandali diventa pari, cioè senza un alfiere. Un comandante.
Eppure ancora muovo la piroga come se, incagliata nella nebbia, dovessi avere una missione, forse...portare in salvo delle anime morte. Oppure...qualcosa di cui non trovo l'uguale, qualcosa che, pur con le leggi di una volta, sia opprimosamente nuovo.
Ma nuovo si avvicina troppo al vuoto, che non saprei affrontare.
Le parole caricano già qualcosa e seguo la loro strada pure se esse mi rovinano le ruote, pure volando, ogni tanto.
Più di questo...non so, forse ci sarà chi scrive più spesso ma io solo ora mi sono inalberata in questa sensazione, solo ora sono una macchia zuppa in un vestito gonfio di pioggia che danza sopra un campo di papaveri.
E noi, che di giorno non siamo che queste cose delicate, papaveri, e ruggiamo al teatrale andare e venire del sole sempre ben truccato e bravo attore.
Noi, cadiamo sotto cascate di acqua, libri dello spirito, e ci inventiamo un paradiso, e una passione che riscalda le ossa, ma un pensiero che le raggela, ed un istinto che le fa stridere.
Tutto questo nella notte.
E mi domandano come stai e un sasso mi cresce sulla pancia per appiattirmi bene al letto. Forse "stare" era la soluzione.
Ma per fortuna ora c'è silenzio, non ci sono domande, e la trappola del foulard nero di ombre che ti scorre addosso. Perché è una trappola, un continuare qualcosa che sappiamo benissimo di poter fare domani.

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