mercoledì 9 maggio 2012

6 maggio cronaca della presa della Bastiglia

Sottotitolo: anche i panini con la salsiccia sono di sinistra.
La folla. Perché si riunisce oggi la folla? Dove sono i portatili, gli I-phone, quegli shuttle spaziali da taschino (il taschino di godzilla)?
Ah, macchine fotografiche tenute per il collo possente si elevano sopra la testa. Così va meglio. Siamo nel 2012.
Ci mischiamo alla folla da osservatori, però anche un po' contenti.
Davanti a noi la colonna celebrativa della caduta della Bastiglia e dei moti del '30 (Heine docet) è diventata un'arena di sbandieratori e portatori di striscioni.
L'ultima fila, loro no.
I più orgogliosi, perché i più vicini al centro geometrico della piazza, alla colonna.
Si serrano con la schiena attaccata al monumento, lo sguardo dritto e dall'aria un po' ubriaca.
Siamo allegri tutti quanti lì. Ce ne sono di più allegri di altri. Per esempio i venditori di baguette e salsiccia piccante, con la loro piastra da viaggio.
La piastra fa fumo, i panini riempiono i nostri stomaci raminghi.
Non mi chiedo che fine faranno quei salsicciotti rossastri nel mio stomaco. Non me lo chiedo, sono felice.
Sono rossi. Come il mio cappotto.
Ci avviciniamo al nucleo, dei ragazzi accendono fumogeni rossi. Le ragazze hanno scritto le lettere F e H (Force Hollande), una per ogni guancia.
La temperatura si alza.
Però i "diavoli" sono pacifisti e spesso di origini miste.
Nel frattempo sul palco presentatori e politici lanciano parole che vengono percepite a tratti dalla gente, che applaude più per l'euphorie che per la "liberté" urlata a squarciagola.
Vecchietti dalle guance pienotte, i candidati socialisti, parlano. L'audio è pessimo. Sopra di me dei ragazzi seduti sul camioncino-bar ridono e guardano. Uno grida: "Anarchie!". E la Francia riprende il respiro.
Strano modo di respirare ha, la Francia.
Strano modo di muoversi, anche.
Nella metro un gruppo di donne afrofrancesi, cantando in coro (con corifea compresa) "On a dégagé Sarko." "On a installé Hollande" mimano con le mani il senso di "mandare via". Si direbbe che recitino inni propiziatori e che i nomi di persona siano diventati parole totemiche.
Così torno a casa, con queste farfalle di dita nere e il ricordo del guru, con fischietto, ombrello e bastone della pioggia al quale ho offerto una stretta di mano e un bacio a métro Château Rouge, mentre i primi passanti informati del risultato urlavano, sorridevano, e suonavano il clacson per strada.
Ho una voglia di sparire e di perdermi in tutta questa folla.
Perdere il mio nome e la mia identità e acquisire, così, per conduzione, la cittadinanza francese.

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