mercoledì 9 maggio 2012

L'uomo che cadde nel reparto di filosofia (E.Della Martire)

- scritto il 7 maggio sopra una poltrona marrone alla Shakespeare & Co. -

Un turno serale, avevo appena salutato con devozione due fanciulle dal buon odore e i capelli scatenati.
Un uomo striscia di fianco alla cassa fino al reparto filosofia. Lo noto appena.
E' vecchio. Vecchissimo. Appoggia il suo bastone come se fosse il suo passato, e il suo passato arriva prima di lui, solido.
Lo guardo giusto un attimo, prima di notare Phil, lo scrittore, che si siede, come le altre volte, poi scrive come una forsennata rondine che si getta in picchiata, fino all'ora di chiusura.
Devo chiudere, mi avvicino a Phil, lui continua a scrivere impassibile.
Gli batto una mano sulla spalla. Mi guarda.
Io gli faccio segno che è giunta l'ora. Lui mi supplica.
- Sono lì lì per descrivere il viso dell'assassino, per sparare l'ultimo colpo che segnerà un punto cruciale nella storia.
Io scuoto la testa, lui supplica ancora.
Io giro i tacchi, mi tiro sù le maniche, nervoso.
Inizio spegnendo le luci dell'ingresso.
Phil comincia a velocizzare il ritmo. Spengo le luci centrali. Phil mi guarda di nuovo supplicante.
Io allora mi fermo, vado verso di lui, dico, per l'ennesima volta:
- Va bene, puoi restare nello stanzino.
Lo stanzino era il luogo in cui tenevamo le scope, più alcuni libri messi da parte.
Phil vi si ritirava e continuava a scrivere fino al mattino.
Mentre Phil prendeva le sue cose e se ne andava verso lo stanzino i suoi logori pantaloni sfregavano sul pavimento e le spalle vergognose si muovevano leggermente come uno strano cammello.
Gli gridai dietro un - Voglio l'esclusiva di vendita quando avrai finito! - lui mi risponse con quel suo tic delle spalle. Eravamo un po' simili.
Tornando per spegnere le ultime luci lo notai. Il vecchio, stecchito, allungato per terra con una mano tesa come per cercare di afferrare ancora una volta il bastone.
Lì, al reparto filosofia.
Tra Kant e Platone, insomma.
Mentre guardavo raggelato il corpo steso a faccia in giù, notai che tremava leggermente.
Lo aiutai subito a rialzarsi, con lo stupore di chi tira fuori uno spettro del passato da un armadio.
Questo spiritello gracile si riprese e cominciò l'arrampicata verso il mondo, la rinascita.
Da quanto tempo era lì, a terra? Come avevo fatto a non accorgemene?
Il vecchietto comunque resuscitò, prese il cappello, caduto con lui, e prese il libro che, evidentemente, stava consultando.
Il suo sguardo era esultante, orgoglioso. Non disse nulla.
Solo, dopo essersi messo in moto, dopo avermi teso il libro che smagnetizzai alla cassa, dopo aver pagato ed essersi rimesso il portafogli in tasca, disse, con un sorriso:
- Bel modo di morire, no?
Io lo guardai uscire, vittorioso, l'osservai finché non svoltò l'angolo. Ero ammutolito.
Mi veniva da immaginarlo in qualche gran palcoscenisco, a interpretare l'Otello, o il Macbeth, o il Lorenzaccio.
Lasciarli tutti attoniti, alla fine.

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