Dormire così, un libro sulla faccia,
Mi ricorda l'adolescenza.
Eppure è adesso il tempo dei poemi
Dei languori e delle nostalgie
Adesso si può raccontare
Fino a perdere le energie.
Ancora il mare luccica
E le barche ti lasciano stare
Ancora sono io
E non ho paura di lasciarmi alla corrente.
venerdì 25 maggio 2012
Il poeta
Puoi dirmi falso, puoi dirmi incline all'orgia
Pedissequo del fato, infine pigro
E che s'annoia, ma non potrai negare
Che in faccia a tutti i secoli
In sella ai prepotenti
E sulla superficie dei venti
Ogni piccola cosa che mi passa davanti
A me, poeta, e nella mia giornata
Viene glorificata.
Pedissequo del fato, infine pigro
E che s'annoia, ma non potrai negare
Che in faccia a tutti i secoli
In sella ai prepotenti
E sulla superficie dei venti
Ogni piccola cosa che mi passa davanti
A me, poeta, e nella mia giornata
Viene glorificata.
Caprice (P.Verlaine) trad. E. Della Martire
Poeta, falso poeta e falso ricco, uomo vero,
Fin dall'esteriorità ricco e povero poco credibile.
(Da quel momento, come vuoi che si sia sicuri del tuo cuore?)
A tratti buffo elastico e signore di lusso
Dal verde chiaro pieno di "speriamo" al nero compunto,
Il tuo abito ha sempre qualche dettaglio scherzoso.
Un bottone manca. Un filo sporge. Da dove viene
Questa macchia - ah, malvenuta o benvenuta? -
Che ride e piange sulla lana e sul ricamo?
Nodo fatto bene e male, scarpa luccicante e opaca.
In breve, un tipo di quelli che si impiccano alla
Rue de la Vieille Lanterne.
come camminare, proverbio felice, alla belle étoile,
Bisognoso, ma non così tanto, l'uomo vero, il solo vero,
Poeta, va, se il tuo linguaggio non è vero
Tu lo sei, e il tuo linguaggio, allora! Peggio per quelli
Che non avranno amato, folli come altrettanti te,
La luna per scaldare quelli senza donna o tetto,
La morte, ah, per cullare i cuori sfortunati,
Poveri cuori malcapitati, troppo buoni e molto fieri, di sicuro!
Infatti l'ironia scoppia alle labbra belle, certo,
Sulle vostre ferite, cuori più feriti di un bersaglio,
Piccoli Sacrocuori di Gesù più lagnosi!
Va', poeta, il solo credibile tra gli uomini,
Muori salvo, muori di fame comunque il meno possibile.
Fin dall'esteriorità ricco e povero poco credibile.
(Da quel momento, come vuoi che si sia sicuri del tuo cuore?)
A tratti buffo elastico e signore di lusso
Dal verde chiaro pieno di "speriamo" al nero compunto,
Il tuo abito ha sempre qualche dettaglio scherzoso.
Un bottone manca. Un filo sporge. Da dove viene
Questa macchia - ah, malvenuta o benvenuta? -
Che ride e piange sulla lana e sul ricamo?
Nodo fatto bene e male, scarpa luccicante e opaca.
In breve, un tipo di quelli che si impiccano alla
Rue de la Vieille Lanterne.
come camminare, proverbio felice, alla belle étoile,
Bisognoso, ma non così tanto, l'uomo vero, il solo vero,
Poeta, va, se il tuo linguaggio non è vero
Tu lo sei, e il tuo linguaggio, allora! Peggio per quelli
Che non avranno amato, folli come altrettanti te,
La luna per scaldare quelli senza donna o tetto,
La morte, ah, per cullare i cuori sfortunati,
Poveri cuori malcapitati, troppo buoni e molto fieri, di sicuro!
Infatti l'ironia scoppia alle labbra belle, certo,
Sulle vostre ferite, cuori più feriti di un bersaglio,
Piccoli Sacrocuori di Gesù più lagnosi!
Va', poeta, il solo credibile tra gli uomini,
Muori salvo, muori di fame comunque il meno possibile.
Ballade Sappho (P. Verlaine) trad. E. Della Martire
La mia mano dolce di ancella e d'amante
Passa e ride sulla tua cara carne in festa,
Ride e gode del tuo godere.
Sai bene che è per servirla, che essa esiste
E il tuo bel corpo bisogna che io lo spogli
Per inebriarlo senza fine di un'arte nuova
Nella carezza sempre, sempre incline,
Sono uguale alla grande Saffo.
Lascia il mio capo errante e deleterio
All'avventura, un po' scontroso, alla ricerca
D'ombra e d'odore e d'un lavoro affascinante
Verso i sapori del tuo onore misterioso.
Lascia errare l'anima del tuo poeta
Dappertutto, per di qua, campo o bosco, o monte o valle,
Come vuoi tu e se io lo desidero.
Sono uguale alla grande Saffo.
Premo allora tutto il tuo corpo golosamente,
Tutta la tua carne contro il mio corpo d'atleta
Che si rizza e si affloscia a tratti,
Felice del trionfo e della sconfitta
In questo conflitto del cuore e della testa.
Per la sterile stretta in cui il cervello
Viene a guarire finalmente l'incompleta natura.
Sono uguale alla grande Saffo.
congedo
Principe o principessa, onest'uomo o mascalzone,
Tu che mugugni, tu, qualsiasi sia il tuo livello
Troppo saccente poeta o divino prosseneta,
Sono uguale alla grande Saffo.
giovedì 24 maggio 2012
Per Elisabetta
La tua piantina è una traccia carina
Di tutto quello che non ha bisogno
d'acqua, di parole. è una mano in sordina
Che carezza, una mano che fa.
Nemmeno tanto il sole, vuole.
Non fa nemmeno tanto male con le spine.
A volte le parlo: Piantina!
Sii ragionevole, piantina,
io merito il tuo equilibrio piantina?
A volte per distrazione cade
Devo raccogliere con forza d'animo
Ogni granulo di terra.
(anche se avere un po' di terra per terra non è così male)
Quanto è brava! Come mi insegna!
Ma quanta nostalgia se penso alla tua mano
Che è un po' anche lì, ed io la tocco piano.
Di tutto quello che non ha bisogno
d'acqua, di parole. è una mano in sordina
Che carezza, una mano che fa.
Nemmeno tanto il sole, vuole.
Non fa nemmeno tanto male con le spine.
A volte le parlo: Piantina!
Sii ragionevole, piantina,
io merito il tuo equilibrio piantina?
A volte per distrazione cade
Devo raccogliere con forza d'animo
Ogni granulo di terra.
(anche se avere un po' di terra per terra non è così male)
Quanto è brava! Come mi insegna!
Ma quanta nostalgia se penso alla tua mano
Che è un po' anche lì, ed io la tocco piano.
mercoledì 23 maggio 2012
Accendo il riscaldamento e asciugo qualcosa che non esiste. In me, asciugo la pioggia, ma passo una mano tra i capelli e sono ancora bagnati. Esiste il bagnato. Ma allora cosa asciugavo? Cosa ci si scrive sul palmo della mano una mattina presto tra compagni di classe? Qual'è il limite tra la sorpresa e il diniego? E' l'asciugare che non esiste? Asciugare è come scrivere un unico, lungo grande poema. Le parole non asciugano, sono spugne sempre bagnate, spargono il loro siero.
Ho sonno e le parole non assorbono il sonno, non quietano la tempesta, non alleviano le piaghe, le parole sono solo minuscole capsule di nostalgia.
Ho sonno e le parole non assorbono il sonno, non quietano la tempesta, non alleviano le piaghe, le parole sono solo minuscole capsule di nostalgia.
lunedì 21 maggio 2012
Il villaggio bianco (felice)
Il villaggio felice tra il Tran e il Trodway
Aveva fatto l'abitudine
Più agli scudi spezzati
Di ritorno dalla battaglia
Che ai buoi appisolati.
Il villaggio felice tra il Tran e il Trodway
Aveva fatto l'abitudine
Al sangue che macchia l'erba dei prati
più che ai campi coltivati.
Il villaggio felice sulla collina boscosa,
Eccolo il suo raccolto oggi:
Erba macchiata di sangue!
Il villaggio felice sulla sua terra
Ecco il raccolto: verdi sepolcri.
Sangue sotto i piedi degli uomini!
Il villaggio felice, nella valle:
Gioia di rapaci
Sulla porpora del combattimento.
I suoi abitanti, eccoli sono morti.
(da Canu Llywarch hen)
giovedì 17 maggio 2012
Sulle amarezze
Muoio. Non sono mai riuscito a dimenticarti. Tu vivi di storie, io di anagrammi.
Cerchi di imitarmi, io imito te.
Ma come specchi siamo buoni a nulla, troppe potenzialità.
Qualcuno ha messo sottosopra la cucina.
Mi piace quando il tuo tallone accende la ciabatta.
Internet non funziona, evviva.
Voglio andare da qualche parte che non sia affanculo.
E voglio che la penna mi scivoli come uno scudo.
Tentenno e metto a posto gli asciugamani.
La tenda è leggermente aperta, guardo dalla finestra.
Tu mi guardi che poggio sul tavolo la colazione preoccupata
Qualcuno ha messo sottosopra la cucina - dici.
La verità è che oggi aprirei tutti i lavandini.
Mi adopererei per farci passare dentro i fili di un nuovo tram.
Non posso rotolarmi sul prato senza te
Sono solo un verme senza connessione internet.
Tu mi guardi che poggio la penna sulla carta gialla
Non è mai del colore giusto, quando la trovi.
Prima che il sonno arrivi, mi distraggo poggiando il mento sulla mano.
Cerchi di imitarmi, io imito te.
Ma come specchi siamo buoni a nulla, troppe potenzialità.
Qualcuno ha messo sottosopra la cucina.
Mi piace quando il tuo tallone accende la ciabatta.
Internet non funziona, evviva.
Voglio andare da qualche parte che non sia affanculo.
E voglio che la penna mi scivoli come uno scudo.
Tentenno e metto a posto gli asciugamani.
La tenda è leggermente aperta, guardo dalla finestra.
Tu mi guardi che poggio sul tavolo la colazione preoccupata
Qualcuno ha messo sottosopra la cucina - dici.
La verità è che oggi aprirei tutti i lavandini.
Mi adopererei per farci passare dentro i fili di un nuovo tram.
Non posso rotolarmi sul prato senza te
Sono solo un verme senza connessione internet.
Tu mi guardi che poggio la penna sulla carta gialla
Non è mai del colore giusto, quando la trovi.
Prima che il sonno arrivi, mi distraggo poggiando il mento sulla mano.
mercoledì 9 maggio 2012
L'uomo che cadde nel reparto di filosofia (E.Della Martire)
- scritto il 7 maggio sopra una poltrona marrone alla Shakespeare & Co. -
Un turno serale, avevo appena salutato con devozione due fanciulle dal buon odore e i capelli scatenati.
Un uomo striscia di fianco alla cassa fino al reparto filosofia. Lo noto appena.
E' vecchio. Vecchissimo. Appoggia il suo bastone come se fosse il suo passato, e il suo passato arriva prima di lui, solido.
Lo guardo giusto un attimo, prima di notare Phil, lo scrittore, che si siede, come le altre volte, poi scrive come una forsennata rondine che si getta in picchiata, fino all'ora di chiusura.
Devo chiudere, mi avvicino a Phil, lui continua a scrivere impassibile.
Gli batto una mano sulla spalla. Mi guarda.
Io gli faccio segno che è giunta l'ora. Lui mi supplica.
- Sono lì lì per descrivere il viso dell'assassino, per sparare l'ultimo colpo che segnerà un punto cruciale nella storia.
Io scuoto la testa, lui supplica ancora.
Io giro i tacchi, mi tiro sù le maniche, nervoso.
Inizio spegnendo le luci dell'ingresso.
Phil comincia a velocizzare il ritmo. Spengo le luci centrali. Phil mi guarda di nuovo supplicante.
Io allora mi fermo, vado verso di lui, dico, per l'ennesima volta:
- Va bene, puoi restare nello stanzino.
Lo stanzino era il luogo in cui tenevamo le scope, più alcuni libri messi da parte.
Phil vi si ritirava e continuava a scrivere fino al mattino.
Mentre Phil prendeva le sue cose e se ne andava verso lo stanzino i suoi logori pantaloni sfregavano sul pavimento e le spalle vergognose si muovevano leggermente come uno strano cammello.
Gli gridai dietro un - Voglio l'esclusiva di vendita quando avrai finito! - lui mi risponse con quel suo tic delle spalle. Eravamo un po' simili.
Tornando per spegnere le ultime luci lo notai. Il vecchio, stecchito, allungato per terra con una mano tesa come per cercare di afferrare ancora una volta il bastone.
Lì, al reparto filosofia.
Tra Kant e Platone, insomma.
Mentre guardavo raggelato il corpo steso a faccia in giù, notai che tremava leggermente.
Lo aiutai subito a rialzarsi, con lo stupore di chi tira fuori uno spettro del passato da un armadio.
Questo spiritello gracile si riprese e cominciò l'arrampicata verso il mondo, la rinascita.
Da quanto tempo era lì, a terra? Come avevo fatto a non accorgemene?
Il vecchietto comunque resuscitò, prese il cappello, caduto con lui, e prese il libro che, evidentemente, stava consultando.
Il suo sguardo era esultante, orgoglioso. Non disse nulla.
Solo, dopo essersi messo in moto, dopo avermi teso il libro che smagnetizzai alla cassa, dopo aver pagato ed essersi rimesso il portafogli in tasca, disse, con un sorriso:
- Bel modo di morire, no?
Io lo guardai uscire, vittorioso, l'osservai finché non svoltò l'angolo. Ero ammutolito.
Mi veniva da immaginarlo in qualche gran palcoscenisco, a interpretare l'Otello, o il Macbeth, o il Lorenzaccio.
Lasciarli tutti attoniti, alla fine.
Un turno serale, avevo appena salutato con devozione due fanciulle dal buon odore e i capelli scatenati.
Un uomo striscia di fianco alla cassa fino al reparto filosofia. Lo noto appena.
E' vecchio. Vecchissimo. Appoggia il suo bastone come se fosse il suo passato, e il suo passato arriva prima di lui, solido.
Lo guardo giusto un attimo, prima di notare Phil, lo scrittore, che si siede, come le altre volte, poi scrive come una forsennata rondine che si getta in picchiata, fino all'ora di chiusura.
Devo chiudere, mi avvicino a Phil, lui continua a scrivere impassibile.
Gli batto una mano sulla spalla. Mi guarda.
Io gli faccio segno che è giunta l'ora. Lui mi supplica.
- Sono lì lì per descrivere il viso dell'assassino, per sparare l'ultimo colpo che segnerà un punto cruciale nella storia.
Io scuoto la testa, lui supplica ancora.
Io giro i tacchi, mi tiro sù le maniche, nervoso.
Inizio spegnendo le luci dell'ingresso.
Phil comincia a velocizzare il ritmo. Spengo le luci centrali. Phil mi guarda di nuovo supplicante.
Io allora mi fermo, vado verso di lui, dico, per l'ennesima volta:
- Va bene, puoi restare nello stanzino.
Lo stanzino era il luogo in cui tenevamo le scope, più alcuni libri messi da parte.
Phil vi si ritirava e continuava a scrivere fino al mattino.
Mentre Phil prendeva le sue cose e se ne andava verso lo stanzino i suoi logori pantaloni sfregavano sul pavimento e le spalle vergognose si muovevano leggermente come uno strano cammello.
Gli gridai dietro un - Voglio l'esclusiva di vendita quando avrai finito! - lui mi risponse con quel suo tic delle spalle. Eravamo un po' simili.
Tornando per spegnere le ultime luci lo notai. Il vecchio, stecchito, allungato per terra con una mano tesa come per cercare di afferrare ancora una volta il bastone.
Lì, al reparto filosofia.
Tra Kant e Platone, insomma.
Mentre guardavo raggelato il corpo steso a faccia in giù, notai che tremava leggermente.
Lo aiutai subito a rialzarsi, con lo stupore di chi tira fuori uno spettro del passato da un armadio.
Questo spiritello gracile si riprese e cominciò l'arrampicata verso il mondo, la rinascita.
Da quanto tempo era lì, a terra? Come avevo fatto a non accorgemene?
Il vecchietto comunque resuscitò, prese il cappello, caduto con lui, e prese il libro che, evidentemente, stava consultando.
Il suo sguardo era esultante, orgoglioso. Non disse nulla.
Solo, dopo essersi messo in moto, dopo avermi teso il libro che smagnetizzai alla cassa, dopo aver pagato ed essersi rimesso il portafogli in tasca, disse, con un sorriso:
- Bel modo di morire, no?
Io lo guardai uscire, vittorioso, l'osservai finché non svoltò l'angolo. Ero ammutolito.
Mi veniva da immaginarlo in qualche gran palcoscenisco, a interpretare l'Otello, o il Macbeth, o il Lorenzaccio.
Lasciarli tutti attoniti, alla fine.
6 maggio cronaca della presa della Bastiglia
Sottotitolo: anche i panini con la salsiccia sono di sinistra.
La folla. Perché si riunisce oggi la folla? Dove sono i portatili, gli I-phone, quegli shuttle spaziali da taschino (il taschino di godzilla)?
Ah, macchine fotografiche tenute per il collo possente si elevano sopra la testa. Così va meglio. Siamo nel 2012.
Ci mischiamo alla folla da osservatori, però anche un po' contenti.
Davanti a noi la colonna celebrativa della caduta della Bastiglia e dei moti del '30 (Heine docet) è diventata un'arena di sbandieratori e portatori di striscioni.
L'ultima fila, loro no.
I più orgogliosi, perché i più vicini al centro geometrico della piazza, alla colonna.
Si serrano con la schiena attaccata al monumento, lo sguardo dritto e dall'aria un po' ubriaca.
Siamo allegri tutti quanti lì. Ce ne sono di più allegri di altri. Per esempio i venditori di baguette e salsiccia piccante, con la loro piastra da viaggio.
La piastra fa fumo, i panini riempiono i nostri stomaci raminghi.
Non mi chiedo che fine faranno quei salsicciotti rossastri nel mio stomaco. Non me lo chiedo, sono felice.
Sono rossi. Come il mio cappotto.
Ci avviciniamo al nucleo, dei ragazzi accendono fumogeni rossi. Le ragazze hanno scritto le lettere F e H (Force Hollande), una per ogni guancia.
La temperatura si alza.
Però i "diavoli" sono pacifisti e spesso di origini miste.
Nel frattempo sul palco presentatori e politici lanciano parole che vengono percepite a tratti dalla gente, che applaude più per l'euphorie che per la "liberté" urlata a squarciagola.
Vecchietti dalle guance pienotte, i candidati socialisti, parlano. L'audio è pessimo. Sopra di me dei ragazzi seduti sul camioncino-bar ridono e guardano. Uno grida: "Anarchie!". E la Francia riprende il respiro.
Strano modo di respirare ha, la Francia.
Strano modo di muoversi, anche.
Nella metro un gruppo di donne afrofrancesi, cantando in coro (con corifea compresa) "On a dégagé Sarko." "On a installé Hollande" mimano con le mani il senso di "mandare via". Si direbbe che recitino inni propiziatori e che i nomi di persona siano diventati parole totemiche.
Così torno a casa, con queste farfalle di dita nere e il ricordo del guru, con fischietto, ombrello e bastone della pioggia al quale ho offerto una stretta di mano e un bacio a métro Château Rouge, mentre i primi passanti informati del risultato urlavano, sorridevano, e suonavano il clacson per strada.
Ho una voglia di sparire e di perdermi in tutta questa folla.
Perdere il mio nome e la mia identità e acquisire, così, per conduzione, la cittadinanza francese.
La folla. Perché si riunisce oggi la folla? Dove sono i portatili, gli I-phone, quegli shuttle spaziali da taschino (il taschino di godzilla)?
Ah, macchine fotografiche tenute per il collo possente si elevano sopra la testa. Così va meglio. Siamo nel 2012.
Ci mischiamo alla folla da osservatori, però anche un po' contenti.
Davanti a noi la colonna celebrativa della caduta della Bastiglia e dei moti del '30 (Heine docet) è diventata un'arena di sbandieratori e portatori di striscioni.
L'ultima fila, loro no.
I più orgogliosi, perché i più vicini al centro geometrico della piazza, alla colonna.
Si serrano con la schiena attaccata al monumento, lo sguardo dritto e dall'aria un po' ubriaca.
Siamo allegri tutti quanti lì. Ce ne sono di più allegri di altri. Per esempio i venditori di baguette e salsiccia piccante, con la loro piastra da viaggio.
La piastra fa fumo, i panini riempiono i nostri stomaci raminghi.
Non mi chiedo che fine faranno quei salsicciotti rossastri nel mio stomaco. Non me lo chiedo, sono felice.
Sono rossi. Come il mio cappotto.
Ci avviciniamo al nucleo, dei ragazzi accendono fumogeni rossi. Le ragazze hanno scritto le lettere F e H (Force Hollande), una per ogni guancia.
La temperatura si alza.
Però i "diavoli" sono pacifisti e spesso di origini miste.
Nel frattempo sul palco presentatori e politici lanciano parole che vengono percepite a tratti dalla gente, che applaude più per l'euphorie che per la "liberté" urlata a squarciagola.
Vecchietti dalle guance pienotte, i candidati socialisti, parlano. L'audio è pessimo. Sopra di me dei ragazzi seduti sul camioncino-bar ridono e guardano. Uno grida: "Anarchie!". E la Francia riprende il respiro.
Strano modo di respirare ha, la Francia.
Strano modo di muoversi, anche.
Nella metro un gruppo di donne afrofrancesi, cantando in coro (con corifea compresa) "On a dégagé Sarko." "On a installé Hollande" mimano con le mani il senso di "mandare via". Si direbbe che recitino inni propiziatori e che i nomi di persona siano diventati parole totemiche.
Così torno a casa, con queste farfalle di dita nere e il ricordo del guru, con fischietto, ombrello e bastone della pioggia al quale ho offerto una stretta di mano e un bacio a métro Château Rouge, mentre i primi passanti informati del risultato urlavano, sorridevano, e suonavano il clacson per strada.
Ho una voglia di sparire e di perdermi in tutta questa folla.
Perdere il mio nome e la mia identità e acquisire, così, per conduzione, la cittadinanza francese.
giovedì 3 maggio 2012
Rossa,
Se ti ho sognata
Era per fare con te battaglia.
Perché negare una serenata
A una tenera bambina, sposata,
Che si sbaglia
Come le dritte linee magistrali
Con tutto che sai muovere le ali
E leggere il futuro nelle mani.
Sei rossa, e d'altri non hai bisogno
più.
Se ti paragonassi alla lotta armata
Certo perderebbe di grazia la serenata
Ma in questo frangente
Perché non gettarsi nel peana impertinente
Dei tuoi capelli che un giorno, per sempre
sono arsi?
Se ti ho sognata
Era per fare con te battaglia.
Perché negare una serenata
A una tenera bambina, sposata,
Che si sbaglia
Come le dritte linee magistrali
Con tutto che sai muovere le ali
E leggere il futuro nelle mani.
Sei rossa, e d'altri non hai bisogno
più.
Se ti paragonassi alla lotta armata
Certo perderebbe di grazia la serenata
Ma in questo frangente
Perché non gettarsi nel peana impertinente
Dei tuoi capelli che un giorno, per sempre
sono arsi?
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