Quante persone seguono la regolarità delle giornate
E tu ti crei come giochi di luce
Sullo sgabello, sui muri, tra le mie dita
Riprendi quanti ricami vuoi
E vuoi discendere sulla realtà
Come una sorpresa smarrita.
sabato 3 novembre 2012
mercoledì 10 ottobre 2012
Mela
Saper sbucciare senza affanni una mela
E' segno di schiacciante adultità
E se far nascere dovrò in questo sidro
In queste bolle che tutto si infiammi
Ch'io possa darti sempre umilmente
Quell'esoterismo d'amicizie
Quel chicco di fermento e quella schiuma
Che va da sola, e fa splendide botti.
E' segno di schiacciante adultità
E se far nascere dovrò in questo sidro
In queste bolle che tutto si infiammi
Ch'io possa darti sempre umilmente
Quell'esoterismo d'amicizie
Quel chicco di fermento e quella schiuma
Che va da sola, e fa splendide botti.
Poema
Ho sempre dato sfogo alla mia grazia
Di questo sarò sempre perseguibile
Da un demone che sempre inestinguibile
Sta affianco a me, e mi taccia d'Ipazia.
Con gli altri sono fiera ed obliosa
Gli pesco dentro a colui che geme
E non rifuggo chi mai si riposa
Sembra protegger nell'esca un seme
Sembra che tutto medesima cosa
Negli occhi del tuo mal colga il mio bene
Ché non son sadica, ma mente formosa
M'ha imprigionato di sciolte catene.
Dove amor? Convinta ricetta
Socchiuse il tuo rosario di scongiuri
Che sensuale il tuo nome perduri
Mentre il mio poema è una disdetta.
Di questo sarò sempre perseguibile
Da un demone che sempre inestinguibile
Sta affianco a me, e mi taccia d'Ipazia.
Con gli altri sono fiera ed obliosa
Gli pesco dentro a colui che geme
E non rifuggo chi mai si riposa
Sembra protegger nell'esca un seme
Sembra che tutto medesima cosa
Negli occhi del tuo mal colga il mio bene
Ché non son sadica, ma mente formosa
M'ha imprigionato di sciolte catene.
Dove amor? Convinta ricetta
Socchiuse il tuo rosario di scongiuri
Che sensuale il tuo nome perduri
Mentre il mio poema è una disdetta.
Tristezza feconda
Sempre tu sia lodata tristezza
Tu che non stupisci, nella gestazione
Dei rigurgiti della notte.
Tu che sei vaccinata dalla primavera
Sempre attenta ancella delle mie membra
Semi-vive. Quando ti si scrive
Appari tutta, e non c'è scampo
Solo il malaugurato rifacimento dell'artista
Che, sempre serio, sempre lavoratore
Mai ti conquista.
Tu che non stupisci, nella gestazione
Dei rigurgiti della notte.
Tu che sei vaccinata dalla primavera
Sempre attenta ancella delle mie membra
Semi-vive. Quando ti si scrive
Appari tutta, e non c'è scampo
Solo il malaugurato rifacimento dell'artista
Che, sempre serio, sempre lavoratore
Mai ti conquista.
sabato 22 settembre 2012
Fiaba al tempio
Mi sono alzata, il verso dei corvi mi era insopportabile.
Sono corsa al tempio. Le case dei vicini attorno si stavano risvegliando.
Non era giorno di festa e non ci sarebbe stato nessuno, c'erano altri cinque templi nella via.
Mi versai dell'acqua sulle mani e sulla fronte, il guardiano dell'acqua era un drago di ferro, dal giovane aspetto. Quell'acqua era un'ovatta fredda e pura, faceva bene alle tempie.
Lasciai le scarpe, e non misi le ciabattine decorate di fiori che il guardiano aveva appoggiato da un lato.
Non c'era proprio nessuno.
Il tempio era aperto.
Il tempio era aperto non tanto perche ci fosse una porta aperta, era aperto come puo' essere aperta una via, come il cielo quando e' aperto.
Scalza, mi avvicinai alla statua di un uomo, dagli occhi penetranti, coperto parzialmente da delle tendine, tanto che per vedere gli occhi eri costretto a stare sotto il suo naso.
Il legno sotto i miei piedi era scuro con delle sfumature bluastre e delle tracce bianche, come levigato.
Sul soffitto,dei dipinti raffiguranti strani animali erano stati quasi completamente cancellati dall'umidita'.
Al centro spinsi,com'era uso, una spessa corda variopinta per far suonare la campana, poi feci un'offerta.
Il tempo era ritornato al suo posto dopo la notte passata quasi completamente in bianco. Potei stendermi e riposarmi.
Pensai a quello che mi aveva detto mio cognato, che i bambini potevano venire a giocare al tempio. Pensai alle rovine delle mura di quella citta' e al castello scomparso.
Un'arietta insolita per quella stagione rendeva la sosta ancora piu' piacevole, o forse era solo il sollievo della solitudine.
Pensai anche ai miei problemi, come succede a qualsiasi occidentale, quegli dei non sapevo come pregarli.
Non piu' di quanto sapessi dare soluzione ai miei problemi.
Altri tipi di uccelli cantavano li', i fiori di loto erano secchi, li riconobbi perche' avevano l'aspetto di quelli che si vedono a volte nelle epiceries macrobiotiche a Parigi.
Decisi di imitare qualche uccello che mi colpiva, lo imitai sei volte. Ne lodai la regolarita'.
Il pavimento di legno sul quale ero stesa si fece voraginoso.
Gli animali a meta' cancellati colavano giu' a gocce sui miei vestiti.
Dei guerrieri con delle campane sul braccio si calavano su di me e cominciavano a girarmi attorno suonando.
Vestiti di verde e di rosso vivo,giravano danzando come se si fossero fatti grosse campane essi stessi.
Sentii una voce che chiamava a raccolta e, malgrado gli occhi mi si chiudessero ammaliati dalle campane, dovetti restare sveglia.
Degli esseri dai vestiti bislacchi, quasi come dei mendicanti, usciti dal cerchio, mi fecero alzare. Anche il giovane drago si fece vivo e si sedette intorno.
La schiena mi doleva, ero rimasta troppo a lungo distesa su quella superficie totalmente piatta. Provai a mettermi in ginocchio come quegli spiriti, ma non ci riuscii.
Allora sentii una voce stridula all'improvviso comandare agli altri:
"Seeeeeeedia!"
Una sedia occidentale, dorata, venne fatta portare apposta per me. Mi chiesi cosa volessero tutti quegli spiriti. Mi sedetti.
"Hai svegliato l'incantesimo del tempio addormentato. Non succedeva da mille anni." disse un guerriero dagli occhi strabici "Ora quando uscirai toccherai lo spirito di pietra sulla testa, e questo potra' guarirti."
Mi sentivo come la millesima cliente di qualche supermarket americano. Mancavano le torte con le candeline.
"Grazie. Posso chiedere chi siete?"
"Spiriti nascosti" disse uno di loro dal viso sottile e le guance scarlatte "Hai imitato sei volte il canto degli uccelli. E' un segnale di risveglio."
"Posso chiedere un'altra cosa?"
Uno dei cavalieri sfodero' la spada facendomi sussultare, poi la infilzo' a terra.
"Questo sara' il nostro sigillo" ululo' "Cosi' non potrai rivelare a nessuno la nostra comparsa."
"Ma da dove venite?"
"Un giorno forse vivevamo." disse quello fra loro piu' anziano, tutti si chinarono in segno di rispetto "Poi fummo raccontati e poi illustrati. Dopo molti anni ancora nessuno piu' si ricordo'."
"Mi spiace." dissi, impacciata.
Il cavaliere della spada scosse burbero la testa, poi come per ricomporsi si rimise a sedere.
L'anziano sorrise.
"Col vento ti indicheremo la strada di casa. Ma se racconterai del nostro incontro la spada ti trafiggera'.
"Capisco." Sentii tremare il suolo.
"Ora vai, e sii guarita."
"Vi ringrazio spiriti."
L'anziano diede un'occhiata verso l'alto, e verso la direzione delle rovine. Non capii cosa volesse dire.
"Quando ti alzerai dalla sedia noi scompariremo."
"Ma d'altronde se non ti alzerai scompariremo comunque" aggiunse una voce gracchiante.
Riprese il suono quasi palpabile di quelle campane, e duro' quasi dieci minuti.
Poi tutto spari'.
Mi alzai tenendomi per i manici della sedia, ma anche la sedia spari', e mi ressi in piedi a stento.
Risentii i miei piedi toccare per terra. Il sole battere sempre piu' forte.
Con la macchina arrivarono un uomo e il suo bambino, per fare un'offerta e suonare una volta la campana. Il bambino si intimidiva e lo dovette fare il padre al posto suo. Se ne andarono anche loro, quasi subito dopo.
Toccai il suolo dove era conficcata la spada e questa mi apparse in mano.
Me la infilai nella cinta e camminai. Toccai lo spirito di pietra sul capo e la spada spari'.
Al suo posto questa penna mi cadde in tasca.
Con un leggero timore me ne andai correndo. Tutti e sei i templi erano ormai stati chiusi, chissa' da chi.
La gente tornava dai propri mestieri.
I bambini con le loro uniformi, le donne coi pantaloni lunghi e le biciclette, tra i campi di riso un odore di cipolle e di onigiri..
Ripresi il fiato e spinsi la porta di casa.
"Dove sei stata? Abbiamo gia' mangiato." disse mia sorella.
"A fare una passeggiata. Buonanotte."
Salii i trenta scalini e andai a letto.
Sono corsa al tempio. Le case dei vicini attorno si stavano risvegliando.
Non era giorno di festa e non ci sarebbe stato nessuno, c'erano altri cinque templi nella via.
Mi versai dell'acqua sulle mani e sulla fronte, il guardiano dell'acqua era un drago di ferro, dal giovane aspetto. Quell'acqua era un'ovatta fredda e pura, faceva bene alle tempie.
Lasciai le scarpe, e non misi le ciabattine decorate di fiori che il guardiano aveva appoggiato da un lato.
Non c'era proprio nessuno.
Il tempio era aperto.
Il tempio era aperto non tanto perche ci fosse una porta aperta, era aperto come puo' essere aperta una via, come il cielo quando e' aperto.
Scalza, mi avvicinai alla statua di un uomo, dagli occhi penetranti, coperto parzialmente da delle tendine, tanto che per vedere gli occhi eri costretto a stare sotto il suo naso.
Il legno sotto i miei piedi era scuro con delle sfumature bluastre e delle tracce bianche, come levigato.
Sul soffitto,dei dipinti raffiguranti strani animali erano stati quasi completamente cancellati dall'umidita'.
Al centro spinsi,com'era uso, una spessa corda variopinta per far suonare la campana, poi feci un'offerta.
Il tempo era ritornato al suo posto dopo la notte passata quasi completamente in bianco. Potei stendermi e riposarmi.
Pensai a quello che mi aveva detto mio cognato, che i bambini potevano venire a giocare al tempio. Pensai alle rovine delle mura di quella citta' e al castello scomparso.
Un'arietta insolita per quella stagione rendeva la sosta ancora piu' piacevole, o forse era solo il sollievo della solitudine.
Pensai anche ai miei problemi, come succede a qualsiasi occidentale, quegli dei non sapevo come pregarli.
Non piu' di quanto sapessi dare soluzione ai miei problemi.
Altri tipi di uccelli cantavano li', i fiori di loto erano secchi, li riconobbi perche' avevano l'aspetto di quelli che si vedono a volte nelle epiceries macrobiotiche a Parigi.
Decisi di imitare qualche uccello che mi colpiva, lo imitai sei volte. Ne lodai la regolarita'.
Il pavimento di legno sul quale ero stesa si fece voraginoso.
Gli animali a meta' cancellati colavano giu' a gocce sui miei vestiti.
Dei guerrieri con delle campane sul braccio si calavano su di me e cominciavano a girarmi attorno suonando.
Vestiti di verde e di rosso vivo,giravano danzando come se si fossero fatti grosse campane essi stessi.
Sentii una voce che chiamava a raccolta e, malgrado gli occhi mi si chiudessero ammaliati dalle campane, dovetti restare sveglia.
Degli esseri dai vestiti bislacchi, quasi come dei mendicanti, usciti dal cerchio, mi fecero alzare. Anche il giovane drago si fece vivo e si sedette intorno.
La schiena mi doleva, ero rimasta troppo a lungo distesa su quella superficie totalmente piatta. Provai a mettermi in ginocchio come quegli spiriti, ma non ci riuscii.
Allora sentii una voce stridula all'improvviso comandare agli altri:
"Seeeeeeedia!"
Una sedia occidentale, dorata, venne fatta portare apposta per me. Mi chiesi cosa volessero tutti quegli spiriti. Mi sedetti.
"Hai svegliato l'incantesimo del tempio addormentato. Non succedeva da mille anni." disse un guerriero dagli occhi strabici "Ora quando uscirai toccherai lo spirito di pietra sulla testa, e questo potra' guarirti."
Mi sentivo come la millesima cliente di qualche supermarket americano. Mancavano le torte con le candeline.
"Grazie. Posso chiedere chi siete?"
"Spiriti nascosti" disse uno di loro dal viso sottile e le guance scarlatte "Hai imitato sei volte il canto degli uccelli. E' un segnale di risveglio."
"Posso chiedere un'altra cosa?"
Uno dei cavalieri sfodero' la spada facendomi sussultare, poi la infilzo' a terra.
"Questo sara' il nostro sigillo" ululo' "Cosi' non potrai rivelare a nessuno la nostra comparsa."
"Ma da dove venite?"
"Un giorno forse vivevamo." disse quello fra loro piu' anziano, tutti si chinarono in segno di rispetto "Poi fummo raccontati e poi illustrati. Dopo molti anni ancora nessuno piu' si ricordo'."
"Mi spiace." dissi, impacciata.
Il cavaliere della spada scosse burbero la testa, poi come per ricomporsi si rimise a sedere.
L'anziano sorrise.
"Col vento ti indicheremo la strada di casa. Ma se racconterai del nostro incontro la spada ti trafiggera'.
"Capisco." Sentii tremare il suolo.
"Ora vai, e sii guarita."
"Vi ringrazio spiriti."
L'anziano diede un'occhiata verso l'alto, e verso la direzione delle rovine. Non capii cosa volesse dire.
"Quando ti alzerai dalla sedia noi scompariremo."
"Ma d'altronde se non ti alzerai scompariremo comunque" aggiunse una voce gracchiante.
Riprese il suono quasi palpabile di quelle campane, e duro' quasi dieci minuti.
Poi tutto spari'.
Mi alzai tenendomi per i manici della sedia, ma anche la sedia spari', e mi ressi in piedi a stento.
Risentii i miei piedi toccare per terra. Il sole battere sempre piu' forte.
Con la macchina arrivarono un uomo e il suo bambino, per fare un'offerta e suonare una volta la campana. Il bambino si intimidiva e lo dovette fare il padre al posto suo. Se ne andarono anche loro, quasi subito dopo.
Toccai il suolo dove era conficcata la spada e questa mi apparse in mano.
Me la infilai nella cinta e camminai. Toccai lo spirito di pietra sul capo e la spada spari'.
Al suo posto questa penna mi cadde in tasca.
Con un leggero timore me ne andai correndo. Tutti e sei i templi erano ormai stati chiusi, chissa' da chi.
La gente tornava dai propri mestieri.
I bambini con le loro uniformi, le donne coi pantaloni lunghi e le biciclette, tra i campi di riso un odore di cipolle e di onigiri..
Ripresi il fiato e spinsi la porta di casa.
"Dove sei stata? Abbiamo gia' mangiato." disse mia sorella.
"A fare una passeggiata. Buonanotte."
Salii i trenta scalini e andai a letto.
lunedì 20 agosto 2012
Uomoluna
Ardo per te
Mio solitario ladro di ricatti
buii, pazzia a tratti rinsavita,
Me stessa stempiata di vita
Luna che sei sol riflesso
Ardo lo stesso.
Là dentro
Nella morale dei cieli
Mai osato
io, acchiapparti con la mano.
(tanto che d'amore
Non ce n'è di migliore)
Colla dei sogni
Bollino dei santi su Terra.
Callo del cielo
Dove il cielo lascia la guerra
Ti cercano i più bisognosi
Lebbrosi di versi
Che cadono dall'orlo
Di maniche imprestate.
Mio solitario ladro di ricatti
buii, pazzia a tratti rinsavita,
Me stessa stempiata di vita
Luna che sei sol riflesso
Ardo lo stesso.
Là dentro
Nella morale dei cieli
Mai osato
io, acchiapparti con la mano.
(tanto che d'amore
Non ce n'è di migliore)
Colla dei sogni
Bollino dei santi su Terra.
Callo del cielo
Dove il cielo lascia la guerra
Ti cercano i più bisognosi
Lebbrosi di versi
Che cadono dall'orlo
Di maniche imprestate.
domenica 12 agosto 2012
Velo
L'addio di qualsiasi rancore, solo quello vorrei fosse il mio fine.
Solo in quello mi applico.
Le appiccicose parole fantasma che io credo attribuire a ciascuno lasciarle andare. Vedere la nudità sartriana. Accaparrarsi un posto nel nulla fecondo.
C'è un nulla altero, un nulla finto, dove finiscono solo i fantocci. E c'è un nulla fecondo, dove i guidati dalle passioni finiscono. Una sorta di estremo poema del nulla. A nessuno devi rendere conto, se stai scrivendo la tua pagina di poema.
Tutto può attendere e ovunque puoi andare.
Non si tratta però del premio per un comportamento. Le origini sono oscure, e sempre lo rimarranno.
Il velo intatto del poema che mai si può smascherare.
Solo in quello mi applico.
Le appiccicose parole fantasma che io credo attribuire a ciascuno lasciarle andare. Vedere la nudità sartriana. Accaparrarsi un posto nel nulla fecondo.
C'è un nulla altero, un nulla finto, dove finiscono solo i fantocci. E c'è un nulla fecondo, dove i guidati dalle passioni finiscono. Una sorta di estremo poema del nulla. A nessuno devi rendere conto, se stai scrivendo la tua pagina di poema.
Tutto può attendere e ovunque puoi andare.
Non si tratta però del premio per un comportamento. Le origini sono oscure, e sempre lo rimarranno.
Il velo intatto del poema che mai si può smascherare.
sabato 4 agosto 2012
Passa
Passa il tempo
Passano i soli
Sbiadiscono i divieti
I segnali stradali
Sfumano i richiami
Delle passioni e restano solo
Le unghie delle mani.
Passa la vita
Passano le giostre
La poesia
Che non sia quella degli altri.
Passa la fretta, passa il tornaconto
Soffocato dalla collezionista
Vecchiaia
Che quando è disonesta fa pena
Passano i commercianti alla politica
Come alla tragedia i commedianti
Passano a provare noia gli insegnanti.
Passano i miei soldi
La voglia di far viaggi
La fantasia passerà
La fantasia passerà.
Passano i soli
Sbiadiscono i divieti
I segnali stradali
Sfumano i richiami
Delle passioni e restano solo
Le unghie delle mani.
Passa la vita
Passano le giostre
La poesia
Che non sia quella degli altri.
Passa la fretta, passa il tornaconto
Soffocato dalla collezionista
Vecchiaia
Che quando è disonesta fa pena
Passano i commercianti alla politica
Come alla tragedia i commedianti
Passano a provare noia gli insegnanti.
Passano i miei soldi
La voglia di far viaggi
La fantasia passerà
La fantasia passerà.
giovedì 2 agosto 2012
Oh come amo come son contenta
Com'è la pioggia quando t'entra dentra
Farei le coccole a tutta la genta
Come lo sciame s'aggruma e s'accentra
Farei salire alla bella finestra
Ogni fanciullo dall'aria molesta
Ed il suo grugno e la sua mano destra
Disarmerei con dolcevoli gesta
Seccano i girasol la carne è allegra
E il caldo boia ti spezza ed annega
Vedere i campi quando il giorno annegra
Parlare di poesia con la collega
Per demone vorace, o buona strega
Ho già il cacciazanzare, non mi frega.
Com'è la pioggia quando t'entra dentra
Farei le coccole a tutta la genta
Come lo sciame s'aggruma e s'accentra
Farei salire alla bella finestra
Ogni fanciullo dall'aria molesta
Ed il suo grugno e la sua mano destra
Disarmerei con dolcevoli gesta
Seccano i girasol la carne è allegra
E il caldo boia ti spezza ed annega
Vedere i campi quando il giorno annegra
Parlare di poesia con la collega
Per demone vorace, o buona strega
Ho già il cacciazanzare, non mi frega.
domenica 22 luglio 2012
Ode agli amici siciliani
Ode agli amici che sono riuniti
Staccati un soffio dalla penisola
Che al sole patrio seccano i visi
Che si riscaldano senza temere
Dalla putredine dei giorni lisi
Nelle città del nord che lontane
Son così tanto dai paradisi.
Si rifocillano lor, coi sorrisi
Di prosperose mamme malsane
A tempo debito sciolgono i cuori
Dentro una zuppa d'oro vibrante:
Il loro mar slanciato e inquietante.
Ode alle menti che si consolano
Dalla mancanza di me poetessa
Con fantasia ad insultarsi tra loro
Del "testa di minchia" o della "frocetta"
Che danno ascolto alle loro sirene
Che si vergognan davanti a una donna
O leggon libri scritti in provenzale
Poi fan la lotta sporcati di sale.
Di nuovo li sento e li comparo
A ciò che qui da sempre imparo
Alle persone così distaccate
Delle mie parti, mi viene bene
Sognarti, Bella Sicilia,
Pur se non mia, mai mia,
Cullali bene gli amici lontani.
Gli unici saggi, pei quali
Scambiandosi baci e un abbraccio
(Non delle semplici strette di mani)
Ed uno sguardo con i duri padri
Vale la pena arrivare a domani.
Spezza il contagio dei tuoi richiami
Libera ancora in settembre i tuoi sciami
Ai tuoi poeti d'amore dai libera uscita
Per migliorare a noialtri stitici
Il verseggiare assetato di vita.
Staccati un soffio dalla penisola
Che al sole patrio seccano i visi
Che si riscaldano senza temere
Dalla putredine dei giorni lisi
Nelle città del nord che lontane
Son così tanto dai paradisi.
Si rifocillano lor, coi sorrisi
Di prosperose mamme malsane
A tempo debito sciolgono i cuori
Dentro una zuppa d'oro vibrante:
Il loro mar slanciato e inquietante.
Ode alle menti che si consolano
Dalla mancanza di me poetessa
Con fantasia ad insultarsi tra loro
Del "testa di minchia" o della "frocetta"
Che danno ascolto alle loro sirene
Che si vergognan davanti a una donna
O leggon libri scritti in provenzale
Poi fan la lotta sporcati di sale.
Di nuovo li sento e li comparo
A ciò che qui da sempre imparo
Alle persone così distaccate
Delle mie parti, mi viene bene
Sognarti, Bella Sicilia,
Pur se non mia, mai mia,
Cullali bene gli amici lontani.
Gli unici saggi, pei quali
Scambiandosi baci e un abbraccio
(Non delle semplici strette di mani)
Ed uno sguardo con i duri padri
Vale la pena arrivare a domani.
Spezza il contagio dei tuoi richiami
Libera ancora in settembre i tuoi sciami
Ai tuoi poeti d'amore dai libera uscita
Per migliorare a noialtri stitici
Il verseggiare assetato di vita.
sabato 21 luglio 2012
Ma dove vai?
Dove finisce la pista ciclabile?
Forse in un posto dove per te è più semplice andare.
Forse si gira e si immerge nel mare
Alcuni la guardano, altri la percorrono, io
La sogno.
Perché tutti i giorni fare avanti e indietro
Dov'è il segreto dell'onde, del quale abusiamo?
Oggi sto qui, oggi vacanza è il passato
Mi accuccio d'un gesto sul prato
E attendo che qualcuno arrivi.
E se non arriva nessuno, è normale
Che il presente mi schivi
A me che recupero il sale dalle dita
La mia pista ciclabile è sempre finita verso casa,
Al ritorno.
Il contorno di traiettorie esotiche
Non lo è mai stata.
E allora se ti cerco
Come un sasso ritorni qui dentro.
Forse in un posto dove per te è più semplice andare.
Forse si gira e si immerge nel mare
Alcuni la guardano, altri la percorrono, io
La sogno.
Perché tutti i giorni fare avanti e indietro
Dov'è il segreto dell'onde, del quale abusiamo?
Oggi sto qui, oggi vacanza è il passato
Mi accuccio d'un gesto sul prato
E attendo che qualcuno arrivi.
E se non arriva nessuno, è normale
Che il presente mi schivi
A me che recupero il sale dalle dita
La mia pista ciclabile è sempre finita verso casa,
Al ritorno.
Il contorno di traiettorie esotiche
Non lo è mai stata.
E allora se ti cerco
Come un sasso ritorni qui dentro.
martedì 17 luglio 2012
Nuove poesie per nuove dolci condanne
Di vino ne bevo mezz'oncia,
Poi malinconica, sconcia e malconcia
M'assiedo.
Come una forma conica
M'accorgo al sole
Di quella brezza fonica
E spezzo con precisione
Un pezzo di schiacciata all'uva.
Già si è macchiata la carta
Già le parole, cucciole, logore, sole, son rosa.
Mi schiaccia già il sangue la posa
La notte, ridendo, s'abbuia
E' l'una! E' l'uva!
Mi cola sul dito di smalto
Mi sento scolpita in basalto
Mi sento lontana.
Soltanto la carta si è accorta:
La luna in silenzio s'è morta
Nel lago di grilli vestito.
Corteggia una nuvola arcana.
***
Cecilia ed Hermes
Dunque il contagio
Dava uno strano disagio
(Alle madri)
Perché la Cecilia tranquilla
Non le importava dell'herpes
Presa là in mezzo ai cespugli
dall'Hermes.
Vedendo gli strani garbugli
Le madri nemiche integerrime
Dicevan che l'una era troia che
L'altro era scemo
Ma non gli passava la noia.
E dal macellar' Nicodèmo
Erano inver nervosissime.
Quando le madri nemiche
Con sottobraccio i figliuoli
Scorgono occhiate lubriche
Tra i due colpevoli poli
Tirano strette le fiche
Corrono subito fuori.
Io penso a quelle politiche
Che si dan screzi a vicenda
Che malgrado dispute antiche
Portano la stessa benda.
E sotto gli epiteti scaltri
Son fatti gli uni per gli altri.
***
Elogio del vecchio
Viva la vecchiaia!
Viva quel dolce odore
Di morte e quello strano candore
Delle pelli sorte.
Viva il buono dolore
Di chi ha già vissuto
Viva lo sputo
Di mille decenni di fumo
Ed il consumo
Le ossa come il pancarré.
Viva le macchie, colore del tè
Evviva curvarsi.
Viva arrestarsi
E vedersi vecchi davvero
Viva anche il cimitero
Dove presto tace la folla
Evviva quell'ultima ultima zolla.
***
Versetti veloci
Color delle noci
Che cadon da sole
Sul bosco alle ultime ore.
Corsetti lubrichi
Colore dei fichi
Che bruciano il mento
Come un sentimento.
La mela alla bocca
I fianchi nei fianchi
Campanule bianche
Un Haiku fallito.
***
Il pettine sperpera luce
Il verso di un mostro cristiano
Ti bacio e ribacio la mano
Che nei suoi raggiri mi cuce.
Poi malinconica, sconcia e malconcia
M'assiedo.
Come una forma conica
M'accorgo al sole
Di quella brezza fonica
E spezzo con precisione
Un pezzo di schiacciata all'uva.
Già si è macchiata la carta
Già le parole, cucciole, logore, sole, son rosa.
Mi schiaccia già il sangue la posa
La notte, ridendo, s'abbuia
E' l'una! E' l'uva!
Mi cola sul dito di smalto
Mi sento scolpita in basalto
Mi sento lontana.
Soltanto la carta si è accorta:
La luna in silenzio s'è morta
Nel lago di grilli vestito.
Corteggia una nuvola arcana.
***
Cecilia ed Hermes
Dunque il contagio
Dava uno strano disagio
(Alle madri)
Perché la Cecilia tranquilla
Non le importava dell'herpes
Presa là in mezzo ai cespugli
dall'Hermes.
Vedendo gli strani garbugli
Le madri nemiche integerrime
Dicevan che l'una era troia che
L'altro era scemo
Ma non gli passava la noia.
E dal macellar' Nicodèmo
Erano inver nervosissime.
Quando le madri nemiche
Con sottobraccio i figliuoli
Scorgono occhiate lubriche
Tra i due colpevoli poli
Tirano strette le fiche
Corrono subito fuori.
Io penso a quelle politiche
Che si dan screzi a vicenda
Che malgrado dispute antiche
Portano la stessa benda.
E sotto gli epiteti scaltri
Son fatti gli uni per gli altri.
***
Elogio del vecchio
Viva la vecchiaia!
Viva quel dolce odore
Di morte e quello strano candore
Delle pelli sorte.
Viva il buono dolore
Di chi ha già vissuto
Viva lo sputo
Di mille decenni di fumo
Ed il consumo
Le ossa come il pancarré.
Viva le macchie, colore del tè
Evviva curvarsi.
Viva arrestarsi
E vedersi vecchi davvero
Viva anche il cimitero
Dove presto tace la folla
Evviva quell'ultima ultima zolla.
***
Versetti veloci
Color delle noci
Che cadon da sole
Sul bosco alle ultime ore.
Corsetti lubrichi
Colore dei fichi
Che bruciano il mento
Come un sentimento.
La mela alla bocca
I fianchi nei fianchi
Campanule bianche
Un Haiku fallito.
***
Il pettine sperpera luce
Il verso di un mostro cristiano
Ti bacio e ribacio la mano
Che nei suoi raggiri mi cuce.
mercoledì 11 luglio 2012
d'oggi
Tutto nel languore di una favola
gli occhi aperti son molli e brillanti
chiunque mi veda, animula, vagula
Pensa
ch'io sia innamorata della sofferenza.
Foto: F.R.U. Photography & Others
gli occhi aperti son molli e brillanti
chiunque mi veda, animula, vagula
Pensa
ch'io sia innamorata della sofferenza.
Foto: F.R.U. Photography & Others
giovedì 5 luglio 2012
Vivo come può vivere una nostalgia
Vivo come può vivere una nostalgia:
Nei tuoi occhi, finché mi cerchi.
Poi sparire nel tuo contorno,
Sottrarre a qualcuno un interrogativo,
Accumularmi con altre pazze storie
Non sono altro, non sono corpo.
Sono una matita, possibile ma cancellabile.
Tutto ciò che vedi quando mi parli
Lo vedi come una sottile vernice.
Dentro c'è solo un grumo di emozioni
Un'angoscia, l'"Io parto" del sole.
Nei tuoi occhi, finché mi cerchi.
Poi sparire nel tuo contorno,
Sottrarre a qualcuno un interrogativo,
Accumularmi con altre pazze storie
Non sono altro, non sono corpo.
Sono una matita, possibile ma cancellabile.
Tutto ciò che vedi quando mi parli
Lo vedi come una sottile vernice.
Dentro c'è solo un grumo di emozioni
Un'angoscia, l'"Io parto" del sole.
lunedì 25 giugno 2012
Avevi un trucco
Che voleva dire "Addio"
Perché nonostante le pretese
Non conoscevi, e neanch'io,
Il futuro.
Ascoltavi quello che volevi,
La Felicità.
"Baciava bene?" mi chiedi.
Io sono tiepida
Uva raddolcita
Al sole della luna dei tuoi
Detti.
Se me lo chiedi,
Io devo dirtelo.
E sono così tua sorella
Cullata
Da un romanticismo adolescente
Che ben ricordo.
Che voleva dire "Addio"
Perché nonostante le pretese
Non conoscevi, e neanch'io,
Il futuro.
Ascoltavi quello che volevi,
La Felicità.
"Baciava bene?" mi chiedi.
Io sono tiepida
Uva raddolcita
Al sole della luna dei tuoi
Detti.
Se me lo chiedi,
Io devo dirtelo.
E sono così tua sorella
Cullata
Da un romanticismo adolescente
Che ben ricordo.
giovedì 14 giugno 2012
Tu signore che hai pensato
Sprofondato nei tuoi libri
Io mi faccio una cultura
Ed i massimi ludibri
Con la casa mi faccio anche
Un lavoro stimolante
Poi degli altri me ne frego
Sputo in faccia con diniego.
Tu signore invece che
Campi addosso alle tue nuvole
Un po' isolo, un po' arcuato
Suoni la tua cornamusa
La tua vita, un poco chiusa,
La più bella del creato.
Sprofondato nei tuoi libri
Io mi faccio una cultura
Ed i massimi ludibri
Con la casa mi faccio anche
Un lavoro stimolante
Poi degli altri me ne frego
Sputo in faccia con diniego.
Tu signore invece che
Campi addosso alle tue nuvole
Un po' isolo, un po' arcuato
Suoni la tua cornamusa
La tua vita, un poco chiusa,
La più bella del creato.
mercoledì 13 giugno 2012
domenica 10 giugno 2012
Là, sopra il tetto della casa vicina, dove il cielo rimane cielo e il discorso rimane discorso mi metto a vivere.
Mi metto a grattare sul foglio come su ogni apparente idea allegra. Si manifesta il tempo vero, quello dello sguardo, del mio sguardo. Perché vivo guardando, vivo nelle altre cose.
Non capisco più molto le regolarità degli altri, i fumi di una nuova "Lilith" potente esalano da me. Per dire certe cose non solo bisogna avere un corsetto, ma bisogna anche sbottonarlo. I primi bottoni.
Il mondo è penoso, i sordidi esseri che vi si muovono sono ancora attaccati a cordoni ombelicali, non capiscono, non possono ancora alzarsi in piedi. Non possono godere pienamente di loro stessi.
Ma in questa penosità c'è un'allegria, un tripudio che ho amato incollarmi addosso come un vestito.
Quando questa allegria è presente non sono più neanche affascinata dalla morte, non mi interessa più.
Solo l'allegria è con me, come una specie di strana innamorata.
Non l'ho cercata io, il mondo sordido me la donata, me l'ha messa tra le braccia.
Non si può dire che sia il frutto di un'unione, anche se essa si manifesta soprattutto quando sono a vero contatto con altri.
Si potrebbe considerare un impulso erotico, un accesso inconscio che si manifesta in taluni piccoli particolari.
Per esempio un oggetto, un colore, un rumore. Nell'acqua l'allegria non ha fine.
La mia acqua, quello che mai dovrò dimenticare. Il mio elemento e non solo. Anche il fuoco con i suoi petali mi insegue. Sono costretta a elencare tutto ciò che mi compone, perché nessun altro sa dirmi più di tanto al riguardo.
E' un'allegria che, a pensarci bene, ho trovato in me stessa, ma questo non vuol dire che non si possa trovare anche fuori. E' la trepidatio cum pulsu.
Non so come altro esprimere questo senso di potenza. Vedo sfuggire mano a mano le dita per lasciare posto a una lunga nottata, ma questo non scalfisce la sicurezza che non arrivo a esprimere.
Mi metto a grattare sul foglio come su ogni apparente idea allegra. Si manifesta il tempo vero, quello dello sguardo, del mio sguardo. Perché vivo guardando, vivo nelle altre cose.
Non capisco più molto le regolarità degli altri, i fumi di una nuova "Lilith" potente esalano da me. Per dire certe cose non solo bisogna avere un corsetto, ma bisogna anche sbottonarlo. I primi bottoni.
Il mondo è penoso, i sordidi esseri che vi si muovono sono ancora attaccati a cordoni ombelicali, non capiscono, non possono ancora alzarsi in piedi. Non possono godere pienamente di loro stessi.
Ma in questa penosità c'è un'allegria, un tripudio che ho amato incollarmi addosso come un vestito.
Quando questa allegria è presente non sono più neanche affascinata dalla morte, non mi interessa più.
Solo l'allegria è con me, come una specie di strana innamorata.
Non l'ho cercata io, il mondo sordido me la donata, me l'ha messa tra le braccia.
Non si può dire che sia il frutto di un'unione, anche se essa si manifesta soprattutto quando sono a vero contatto con altri.
Si potrebbe considerare un impulso erotico, un accesso inconscio che si manifesta in taluni piccoli particolari.
Per esempio un oggetto, un colore, un rumore. Nell'acqua l'allegria non ha fine.
La mia acqua, quello che mai dovrò dimenticare. Il mio elemento e non solo. Anche il fuoco con i suoi petali mi insegue. Sono costretta a elencare tutto ciò che mi compone, perché nessun altro sa dirmi più di tanto al riguardo.
E' un'allegria che, a pensarci bene, ho trovato in me stessa, ma questo non vuol dire che non si possa trovare anche fuori. E' la trepidatio cum pulsu.
Non so come altro esprimere questo senso di potenza. Vedo sfuggire mano a mano le dita per lasciare posto a una lunga nottata, ma questo non scalfisce la sicurezza che non arrivo a esprimere.
sabato 9 giugno 2012
venerdì 8 giugno 2012
Se fossi un uomo, e che soffrissi d'amore non corrisposto, e che.
Ti amo così
Il sogno di chi non ti accorgi
Ti amo nel tè
Ti soffio ma non ti raffreddi.
Vorrei avere te
Ma in fondo ho le tasche bucate
Sei l'oro nascosto
Di tutte le stronze nottate.
Rimango così
Forte del tuo rifiuto
Non posso sposarti
Ma posso suonarti il mio liuto.
(Suono di liuto)
Mi arrabbio perché
Sei peggio di un porto di mare
La vita lo so
E' un mucchio di buffe zanzare
Io però, riesco a restare me stesso
Ma tanto non vale
Perché la mia luna è un innesto.
Vorrei disturbare
Vorrei rovesciare il tuo nulla
Ed il tuo rigore
Di affascinante fanciulla.
Il sogno di chi non ti accorgi
Ti amo nel tè
Ti soffio ma non ti raffreddi.
Vorrei avere te
Ma in fondo ho le tasche bucate
Sei l'oro nascosto
Di tutte le stronze nottate.
Rimango così
Forte del tuo rifiuto
Non posso sposarti
Ma posso suonarti il mio liuto.
(Suono di liuto)
Mi arrabbio perché
Sei peggio di un porto di mare
La vita lo so
E' un mucchio di buffe zanzare
Io però, riesco a restare me stesso
Ma tanto non vale
Perché la mia luna è un innesto.
Vorrei disturbare
Vorrei rovesciare il tuo nulla
Ed il tuo rigore
Di affascinante fanciulla.
Il mondo piove
Il mondo piove
è il fondo del mondo che si sperde nel bagnato
è il mondo che s'innamora del selciato
La pioggia è il mondo che fugge in sordina
è la valvola di una mattina
E se è il mondo a piovere
Tentenniamo con questa sicurezza :
Ogni cosa sarà piovosa carezza
Per il fiore è solo la voce umana.
Gli umani si chiedono perché ritorna;
Ma in fondo è perché non se n'è mai andata.
Qualcosa ci innaffia dal Principio
E tutti gli ombrelli non sono che fallimenti.
giovedì 7 giugno 2012
Da quando mi lego i capelli
Da quando mi lego i capelli il mattino, faccio la baby-sitter.
Da quando non indosso più orecchini pendenti
Incontro una lattante in vestiti di fiori
Che tira, ammira, stacca e scaraventa
Qualsiasi cosa interessante da toccare.
La potrei inondare di questa roba che scrivo
Non porgerebbe attenzione
Ma basta che un giorno mi dimentichi di legarmi i capelli
E lei sembra esplodere come un raggio di sole dentro un bosco incantato.
Non sa niente del dolore degli altri
Anche se li vede, i miei occhi stanchi,
Forse si chiede: "Ma che scherzo è?
Preferisco quando sei bella sveglia e giochi con me."
Da quando non indosso più orecchini pendenti
Incontro una lattante in vestiti di fiori
Che tira, ammira, stacca e scaraventa
Qualsiasi cosa interessante da toccare.
La potrei inondare di questa roba che scrivo
Non porgerebbe attenzione
Ma basta che un giorno mi dimentichi di legarmi i capelli
E lei sembra esplodere come un raggio di sole dentro un bosco incantato.
Non sa niente del dolore degli altri
Anche se li vede, i miei occhi stanchi,
Forse si chiede: "Ma che scherzo è?
Preferisco quando sei bella sveglia e giochi con me."
mercoledì 6 giugno 2012
Aspetto i corvi
Aspetto i corvi non voglio essere neanche loro
Il volo che compiono mi sembra una cattività.
Ma forse provassi a volare sull'ala di un corvo
Apprezzerei di nuovo il dono di chi non lo ha.
Il volo che compiono mi sembra una cattività.
Ma forse provassi a volare sull'ala di un corvo
Apprezzerei di nuovo il dono di chi non lo ha.
Il mio giorno. La luna si allontana
Il mio giorno dovrebbe essere infinito. La luna si allontana.
Cos'è il giorno, senza l'eternità? La luna si allontana.
Il mio sogno è intrecciare i giorni. La luna si allontana.
Non ognuno allergico a quello successivo. La luna si allontana.
Ma chimicamente affini. La luna si allontana.
Per poter governare certi aspetti di me.
La notte è totale.
Il mio giorno dovrebbe essere infinito. La luna si allontana.
Cos'è il giorno, senza l'eternità? La luna si allontana.
Il mio sogno è intrecciare i giorni. La luna si allontana.
Non ognuno allergico a quello successivo. La luna si allontana.
Ma chimicamente affini. La luna si allontana.
Per poter governare certi aspetti di me.
La notte è totale.
domenica 3 giugno 2012
Ora rinasco
Ora rinasco
Leggero peso del fiasco
L'anello, il guardare
Sul limite del parapetto
Sedere. Senza un gabbiano di concetto.
Il vino non scatta, dimenticare
Le guance son colli lontani
La luna ritorna, le mani,
Le mani l'insonnia colera del mondo
Scatole nere di arcani
Colera, pasto di lettere fritte
Risale alle labbra Pavese
Leggera lo accetto e lo intono
Veloce con gli occhi serrati
Un sorso di mille malati
Credo in un bosco di rovi.
Oh donna accucciata
Oh donna così male amata
Se sciogli i capelli lo sai
Un salice diventerai.
venerdì 25 maggio 2012
Il poeta
Puoi dirmi falso, puoi dirmi incline all'orgia
Pedissequo del fato, infine pigro
E che s'annoia, ma non potrai negare
Che in faccia a tutti i secoli
In sella ai prepotenti
E sulla superficie dei venti
Ogni piccola cosa che mi passa davanti
A me, poeta, e nella mia giornata
Viene glorificata.
Pedissequo del fato, infine pigro
E che s'annoia, ma non potrai negare
Che in faccia a tutti i secoli
In sella ai prepotenti
E sulla superficie dei venti
Ogni piccola cosa che mi passa davanti
A me, poeta, e nella mia giornata
Viene glorificata.
Caprice (P.Verlaine) trad. E. Della Martire
Poeta, falso poeta e falso ricco, uomo vero,
Fin dall'esteriorità ricco e povero poco credibile.
(Da quel momento, come vuoi che si sia sicuri del tuo cuore?)
A tratti buffo elastico e signore di lusso
Dal verde chiaro pieno di "speriamo" al nero compunto,
Il tuo abito ha sempre qualche dettaglio scherzoso.
Un bottone manca. Un filo sporge. Da dove viene
Questa macchia - ah, malvenuta o benvenuta? -
Che ride e piange sulla lana e sul ricamo?
Nodo fatto bene e male, scarpa luccicante e opaca.
In breve, un tipo di quelli che si impiccano alla
Rue de la Vieille Lanterne.
come camminare, proverbio felice, alla belle étoile,
Bisognoso, ma non così tanto, l'uomo vero, il solo vero,
Poeta, va, se il tuo linguaggio non è vero
Tu lo sei, e il tuo linguaggio, allora! Peggio per quelli
Che non avranno amato, folli come altrettanti te,
La luna per scaldare quelli senza donna o tetto,
La morte, ah, per cullare i cuori sfortunati,
Poveri cuori malcapitati, troppo buoni e molto fieri, di sicuro!
Infatti l'ironia scoppia alle labbra belle, certo,
Sulle vostre ferite, cuori più feriti di un bersaglio,
Piccoli Sacrocuori di Gesù più lagnosi!
Va', poeta, il solo credibile tra gli uomini,
Muori salvo, muori di fame comunque il meno possibile.
Fin dall'esteriorità ricco e povero poco credibile.
(Da quel momento, come vuoi che si sia sicuri del tuo cuore?)
A tratti buffo elastico e signore di lusso
Dal verde chiaro pieno di "speriamo" al nero compunto,
Il tuo abito ha sempre qualche dettaglio scherzoso.
Un bottone manca. Un filo sporge. Da dove viene
Questa macchia - ah, malvenuta o benvenuta? -
Che ride e piange sulla lana e sul ricamo?
Nodo fatto bene e male, scarpa luccicante e opaca.
In breve, un tipo di quelli che si impiccano alla
Rue de la Vieille Lanterne.
come camminare, proverbio felice, alla belle étoile,
Bisognoso, ma non così tanto, l'uomo vero, il solo vero,
Poeta, va, se il tuo linguaggio non è vero
Tu lo sei, e il tuo linguaggio, allora! Peggio per quelli
Che non avranno amato, folli come altrettanti te,
La luna per scaldare quelli senza donna o tetto,
La morte, ah, per cullare i cuori sfortunati,
Poveri cuori malcapitati, troppo buoni e molto fieri, di sicuro!
Infatti l'ironia scoppia alle labbra belle, certo,
Sulle vostre ferite, cuori più feriti di un bersaglio,
Piccoli Sacrocuori di Gesù più lagnosi!
Va', poeta, il solo credibile tra gli uomini,
Muori salvo, muori di fame comunque il meno possibile.
Ballade Sappho (P. Verlaine) trad. E. Della Martire
La mia mano dolce di ancella e d'amante
Passa e ride sulla tua cara carne in festa,
Ride e gode del tuo godere.
Sai bene che è per servirla, che essa esiste
E il tuo bel corpo bisogna che io lo spogli
Per inebriarlo senza fine di un'arte nuova
Nella carezza sempre, sempre incline,
Sono uguale alla grande Saffo.
Lascia il mio capo errante e deleterio
All'avventura, un po' scontroso, alla ricerca
D'ombra e d'odore e d'un lavoro affascinante
Verso i sapori del tuo onore misterioso.
Lascia errare l'anima del tuo poeta
Dappertutto, per di qua, campo o bosco, o monte o valle,
Come vuoi tu e se io lo desidero.
Sono uguale alla grande Saffo.
Premo allora tutto il tuo corpo golosamente,
Tutta la tua carne contro il mio corpo d'atleta
Che si rizza e si affloscia a tratti,
Felice del trionfo e della sconfitta
In questo conflitto del cuore e della testa.
Per la sterile stretta in cui il cervello
Viene a guarire finalmente l'incompleta natura.
Sono uguale alla grande Saffo.
congedo
Principe o principessa, onest'uomo o mascalzone,
Tu che mugugni, tu, qualsiasi sia il tuo livello
Troppo saccente poeta o divino prosseneta,
Sono uguale alla grande Saffo.
giovedì 24 maggio 2012
Per Elisabetta
La tua piantina è una traccia carina
Di tutto quello che non ha bisogno
d'acqua, di parole. è una mano in sordina
Che carezza, una mano che fa.
Nemmeno tanto il sole, vuole.
Non fa nemmeno tanto male con le spine.
A volte le parlo: Piantina!
Sii ragionevole, piantina,
io merito il tuo equilibrio piantina?
A volte per distrazione cade
Devo raccogliere con forza d'animo
Ogni granulo di terra.
(anche se avere un po' di terra per terra non è così male)
Quanto è brava! Come mi insegna!
Ma quanta nostalgia se penso alla tua mano
Che è un po' anche lì, ed io la tocco piano.
Di tutto quello che non ha bisogno
d'acqua, di parole. è una mano in sordina
Che carezza, una mano che fa.
Nemmeno tanto il sole, vuole.
Non fa nemmeno tanto male con le spine.
A volte le parlo: Piantina!
Sii ragionevole, piantina,
io merito il tuo equilibrio piantina?
A volte per distrazione cade
Devo raccogliere con forza d'animo
Ogni granulo di terra.
(anche se avere un po' di terra per terra non è così male)
Quanto è brava! Come mi insegna!
Ma quanta nostalgia se penso alla tua mano
Che è un po' anche lì, ed io la tocco piano.
mercoledì 23 maggio 2012
Accendo il riscaldamento e asciugo qualcosa che non esiste. In me, asciugo la pioggia, ma passo una mano tra i capelli e sono ancora bagnati. Esiste il bagnato. Ma allora cosa asciugavo? Cosa ci si scrive sul palmo della mano una mattina presto tra compagni di classe? Qual'è il limite tra la sorpresa e il diniego? E' l'asciugare che non esiste? Asciugare è come scrivere un unico, lungo grande poema. Le parole non asciugano, sono spugne sempre bagnate, spargono il loro siero.
Ho sonno e le parole non assorbono il sonno, non quietano la tempesta, non alleviano le piaghe, le parole sono solo minuscole capsule di nostalgia.
Ho sonno e le parole non assorbono il sonno, non quietano la tempesta, non alleviano le piaghe, le parole sono solo minuscole capsule di nostalgia.
lunedì 21 maggio 2012
Il villaggio bianco (felice)
Il villaggio felice tra il Tran e il Trodway
Aveva fatto l'abitudine
Più agli scudi spezzati
Di ritorno dalla battaglia
Che ai buoi appisolati.
Il villaggio felice tra il Tran e il Trodway
Aveva fatto l'abitudine
Al sangue che macchia l'erba dei prati
più che ai campi coltivati.
Il villaggio felice sulla collina boscosa,
Eccolo il suo raccolto oggi:
Erba macchiata di sangue!
Il villaggio felice sulla sua terra
Ecco il raccolto: verdi sepolcri.
Sangue sotto i piedi degli uomini!
Il villaggio felice, nella valle:
Gioia di rapaci
Sulla porpora del combattimento.
I suoi abitanti, eccoli sono morti.
(da Canu Llywarch hen)
giovedì 17 maggio 2012
Sulle amarezze
Muoio. Non sono mai riuscito a dimenticarti. Tu vivi di storie, io di anagrammi.
Cerchi di imitarmi, io imito te.
Ma come specchi siamo buoni a nulla, troppe potenzialità.
Qualcuno ha messo sottosopra la cucina.
Mi piace quando il tuo tallone accende la ciabatta.
Internet non funziona, evviva.
Voglio andare da qualche parte che non sia affanculo.
E voglio che la penna mi scivoli come uno scudo.
Tentenno e metto a posto gli asciugamani.
La tenda è leggermente aperta, guardo dalla finestra.
Tu mi guardi che poggio sul tavolo la colazione preoccupata
Qualcuno ha messo sottosopra la cucina - dici.
La verità è che oggi aprirei tutti i lavandini.
Mi adopererei per farci passare dentro i fili di un nuovo tram.
Non posso rotolarmi sul prato senza te
Sono solo un verme senza connessione internet.
Tu mi guardi che poggio la penna sulla carta gialla
Non è mai del colore giusto, quando la trovi.
Prima che il sonno arrivi, mi distraggo poggiando il mento sulla mano.
Cerchi di imitarmi, io imito te.
Ma come specchi siamo buoni a nulla, troppe potenzialità.
Qualcuno ha messo sottosopra la cucina.
Mi piace quando il tuo tallone accende la ciabatta.
Internet non funziona, evviva.
Voglio andare da qualche parte che non sia affanculo.
E voglio che la penna mi scivoli come uno scudo.
Tentenno e metto a posto gli asciugamani.
La tenda è leggermente aperta, guardo dalla finestra.
Tu mi guardi che poggio sul tavolo la colazione preoccupata
Qualcuno ha messo sottosopra la cucina - dici.
La verità è che oggi aprirei tutti i lavandini.
Mi adopererei per farci passare dentro i fili di un nuovo tram.
Non posso rotolarmi sul prato senza te
Sono solo un verme senza connessione internet.
Tu mi guardi che poggio la penna sulla carta gialla
Non è mai del colore giusto, quando la trovi.
Prima che il sonno arrivi, mi distraggo poggiando il mento sulla mano.
mercoledì 9 maggio 2012
L'uomo che cadde nel reparto di filosofia (E.Della Martire)
- scritto il 7 maggio sopra una poltrona marrone alla Shakespeare & Co. -
Un turno serale, avevo appena salutato con devozione due fanciulle dal buon odore e i capelli scatenati.
Un uomo striscia di fianco alla cassa fino al reparto filosofia. Lo noto appena.
E' vecchio. Vecchissimo. Appoggia il suo bastone come se fosse il suo passato, e il suo passato arriva prima di lui, solido.
Lo guardo giusto un attimo, prima di notare Phil, lo scrittore, che si siede, come le altre volte, poi scrive come una forsennata rondine che si getta in picchiata, fino all'ora di chiusura.
Devo chiudere, mi avvicino a Phil, lui continua a scrivere impassibile.
Gli batto una mano sulla spalla. Mi guarda.
Io gli faccio segno che è giunta l'ora. Lui mi supplica.
- Sono lì lì per descrivere il viso dell'assassino, per sparare l'ultimo colpo che segnerà un punto cruciale nella storia.
Io scuoto la testa, lui supplica ancora.
Io giro i tacchi, mi tiro sù le maniche, nervoso.
Inizio spegnendo le luci dell'ingresso.
Phil comincia a velocizzare il ritmo. Spengo le luci centrali. Phil mi guarda di nuovo supplicante.
Io allora mi fermo, vado verso di lui, dico, per l'ennesima volta:
- Va bene, puoi restare nello stanzino.
Lo stanzino era il luogo in cui tenevamo le scope, più alcuni libri messi da parte.
Phil vi si ritirava e continuava a scrivere fino al mattino.
Mentre Phil prendeva le sue cose e se ne andava verso lo stanzino i suoi logori pantaloni sfregavano sul pavimento e le spalle vergognose si muovevano leggermente come uno strano cammello.
Gli gridai dietro un - Voglio l'esclusiva di vendita quando avrai finito! - lui mi risponse con quel suo tic delle spalle. Eravamo un po' simili.
Tornando per spegnere le ultime luci lo notai. Il vecchio, stecchito, allungato per terra con una mano tesa come per cercare di afferrare ancora una volta il bastone.
Lì, al reparto filosofia.
Tra Kant e Platone, insomma.
Mentre guardavo raggelato il corpo steso a faccia in giù, notai che tremava leggermente.
Lo aiutai subito a rialzarsi, con lo stupore di chi tira fuori uno spettro del passato da un armadio.
Questo spiritello gracile si riprese e cominciò l'arrampicata verso il mondo, la rinascita.
Da quanto tempo era lì, a terra? Come avevo fatto a non accorgemene?
Il vecchietto comunque resuscitò, prese il cappello, caduto con lui, e prese il libro che, evidentemente, stava consultando.
Il suo sguardo era esultante, orgoglioso. Non disse nulla.
Solo, dopo essersi messo in moto, dopo avermi teso il libro che smagnetizzai alla cassa, dopo aver pagato ed essersi rimesso il portafogli in tasca, disse, con un sorriso:
- Bel modo di morire, no?
Io lo guardai uscire, vittorioso, l'osservai finché non svoltò l'angolo. Ero ammutolito.
Mi veniva da immaginarlo in qualche gran palcoscenisco, a interpretare l'Otello, o il Macbeth, o il Lorenzaccio.
Lasciarli tutti attoniti, alla fine.
Un turno serale, avevo appena salutato con devozione due fanciulle dal buon odore e i capelli scatenati.
Un uomo striscia di fianco alla cassa fino al reparto filosofia. Lo noto appena.
E' vecchio. Vecchissimo. Appoggia il suo bastone come se fosse il suo passato, e il suo passato arriva prima di lui, solido.
Lo guardo giusto un attimo, prima di notare Phil, lo scrittore, che si siede, come le altre volte, poi scrive come una forsennata rondine che si getta in picchiata, fino all'ora di chiusura.
Devo chiudere, mi avvicino a Phil, lui continua a scrivere impassibile.
Gli batto una mano sulla spalla. Mi guarda.
Io gli faccio segno che è giunta l'ora. Lui mi supplica.
- Sono lì lì per descrivere il viso dell'assassino, per sparare l'ultimo colpo che segnerà un punto cruciale nella storia.
Io scuoto la testa, lui supplica ancora.
Io giro i tacchi, mi tiro sù le maniche, nervoso.
Inizio spegnendo le luci dell'ingresso.
Phil comincia a velocizzare il ritmo. Spengo le luci centrali. Phil mi guarda di nuovo supplicante.
Io allora mi fermo, vado verso di lui, dico, per l'ennesima volta:
- Va bene, puoi restare nello stanzino.
Lo stanzino era il luogo in cui tenevamo le scope, più alcuni libri messi da parte.
Phil vi si ritirava e continuava a scrivere fino al mattino.
Mentre Phil prendeva le sue cose e se ne andava verso lo stanzino i suoi logori pantaloni sfregavano sul pavimento e le spalle vergognose si muovevano leggermente come uno strano cammello.
Gli gridai dietro un - Voglio l'esclusiva di vendita quando avrai finito! - lui mi risponse con quel suo tic delle spalle. Eravamo un po' simili.
Tornando per spegnere le ultime luci lo notai. Il vecchio, stecchito, allungato per terra con una mano tesa come per cercare di afferrare ancora una volta il bastone.
Lì, al reparto filosofia.
Tra Kant e Platone, insomma.
Mentre guardavo raggelato il corpo steso a faccia in giù, notai che tremava leggermente.
Lo aiutai subito a rialzarsi, con lo stupore di chi tira fuori uno spettro del passato da un armadio.
Questo spiritello gracile si riprese e cominciò l'arrampicata verso il mondo, la rinascita.
Da quanto tempo era lì, a terra? Come avevo fatto a non accorgemene?
Il vecchietto comunque resuscitò, prese il cappello, caduto con lui, e prese il libro che, evidentemente, stava consultando.
Il suo sguardo era esultante, orgoglioso. Non disse nulla.
Solo, dopo essersi messo in moto, dopo avermi teso il libro che smagnetizzai alla cassa, dopo aver pagato ed essersi rimesso il portafogli in tasca, disse, con un sorriso:
- Bel modo di morire, no?
Io lo guardai uscire, vittorioso, l'osservai finché non svoltò l'angolo. Ero ammutolito.
Mi veniva da immaginarlo in qualche gran palcoscenisco, a interpretare l'Otello, o il Macbeth, o il Lorenzaccio.
Lasciarli tutti attoniti, alla fine.
6 maggio cronaca della presa della Bastiglia
Sottotitolo: anche i panini con la salsiccia sono di sinistra.
La folla. Perché si riunisce oggi la folla? Dove sono i portatili, gli I-phone, quegli shuttle spaziali da taschino (il taschino di godzilla)?
Ah, macchine fotografiche tenute per il collo possente si elevano sopra la testa. Così va meglio. Siamo nel 2012.
Ci mischiamo alla folla da osservatori, però anche un po' contenti.
Davanti a noi la colonna celebrativa della caduta della Bastiglia e dei moti del '30 (Heine docet) è diventata un'arena di sbandieratori e portatori di striscioni.
L'ultima fila, loro no.
I più orgogliosi, perché i più vicini al centro geometrico della piazza, alla colonna.
Si serrano con la schiena attaccata al monumento, lo sguardo dritto e dall'aria un po' ubriaca.
Siamo allegri tutti quanti lì. Ce ne sono di più allegri di altri. Per esempio i venditori di baguette e salsiccia piccante, con la loro piastra da viaggio.
La piastra fa fumo, i panini riempiono i nostri stomaci raminghi.
Non mi chiedo che fine faranno quei salsicciotti rossastri nel mio stomaco. Non me lo chiedo, sono felice.
Sono rossi. Come il mio cappotto.
Ci avviciniamo al nucleo, dei ragazzi accendono fumogeni rossi. Le ragazze hanno scritto le lettere F e H (Force Hollande), una per ogni guancia.
La temperatura si alza.
Però i "diavoli" sono pacifisti e spesso di origini miste.
Nel frattempo sul palco presentatori e politici lanciano parole che vengono percepite a tratti dalla gente, che applaude più per l'euphorie che per la "liberté" urlata a squarciagola.
Vecchietti dalle guance pienotte, i candidati socialisti, parlano. L'audio è pessimo. Sopra di me dei ragazzi seduti sul camioncino-bar ridono e guardano. Uno grida: "Anarchie!". E la Francia riprende il respiro.
Strano modo di respirare ha, la Francia.
Strano modo di muoversi, anche.
Nella metro un gruppo di donne afrofrancesi, cantando in coro (con corifea compresa) "On a dégagé Sarko." "On a installé Hollande" mimano con le mani il senso di "mandare via". Si direbbe che recitino inni propiziatori e che i nomi di persona siano diventati parole totemiche.
Così torno a casa, con queste farfalle di dita nere e il ricordo del guru, con fischietto, ombrello e bastone della pioggia al quale ho offerto una stretta di mano e un bacio a métro Château Rouge, mentre i primi passanti informati del risultato urlavano, sorridevano, e suonavano il clacson per strada.
Ho una voglia di sparire e di perdermi in tutta questa folla.
Perdere il mio nome e la mia identità e acquisire, così, per conduzione, la cittadinanza francese.
La folla. Perché si riunisce oggi la folla? Dove sono i portatili, gli I-phone, quegli shuttle spaziali da taschino (il taschino di godzilla)?
Ah, macchine fotografiche tenute per il collo possente si elevano sopra la testa. Così va meglio. Siamo nel 2012.
Ci mischiamo alla folla da osservatori, però anche un po' contenti.
Davanti a noi la colonna celebrativa della caduta della Bastiglia e dei moti del '30 (Heine docet) è diventata un'arena di sbandieratori e portatori di striscioni.
L'ultima fila, loro no.
I più orgogliosi, perché i più vicini al centro geometrico della piazza, alla colonna.
Si serrano con la schiena attaccata al monumento, lo sguardo dritto e dall'aria un po' ubriaca.
Siamo allegri tutti quanti lì. Ce ne sono di più allegri di altri. Per esempio i venditori di baguette e salsiccia piccante, con la loro piastra da viaggio.
La piastra fa fumo, i panini riempiono i nostri stomaci raminghi.
Non mi chiedo che fine faranno quei salsicciotti rossastri nel mio stomaco. Non me lo chiedo, sono felice.
Sono rossi. Come il mio cappotto.
Ci avviciniamo al nucleo, dei ragazzi accendono fumogeni rossi. Le ragazze hanno scritto le lettere F e H (Force Hollande), una per ogni guancia.
La temperatura si alza.
Però i "diavoli" sono pacifisti e spesso di origini miste.
Nel frattempo sul palco presentatori e politici lanciano parole che vengono percepite a tratti dalla gente, che applaude più per l'euphorie che per la "liberté" urlata a squarciagola.
Vecchietti dalle guance pienotte, i candidati socialisti, parlano. L'audio è pessimo. Sopra di me dei ragazzi seduti sul camioncino-bar ridono e guardano. Uno grida: "Anarchie!". E la Francia riprende il respiro.
Strano modo di respirare ha, la Francia.
Strano modo di muoversi, anche.
Nella metro un gruppo di donne afrofrancesi, cantando in coro (con corifea compresa) "On a dégagé Sarko." "On a installé Hollande" mimano con le mani il senso di "mandare via". Si direbbe che recitino inni propiziatori e che i nomi di persona siano diventati parole totemiche.
Così torno a casa, con queste farfalle di dita nere e il ricordo del guru, con fischietto, ombrello e bastone della pioggia al quale ho offerto una stretta di mano e un bacio a métro Château Rouge, mentre i primi passanti informati del risultato urlavano, sorridevano, e suonavano il clacson per strada.
Ho una voglia di sparire e di perdermi in tutta questa folla.
Perdere il mio nome e la mia identità e acquisire, così, per conduzione, la cittadinanza francese.
giovedì 3 maggio 2012
Rossa,
Se ti ho sognata
Era per fare con te battaglia.
Perché negare una serenata
A una tenera bambina, sposata,
Che si sbaglia
Come le dritte linee magistrali
Con tutto che sai muovere le ali
E leggere il futuro nelle mani.
Sei rossa, e d'altri non hai bisogno
più.
Se ti paragonassi alla lotta armata
Certo perderebbe di grazia la serenata
Ma in questo frangente
Perché non gettarsi nel peana impertinente
Dei tuoi capelli che un giorno, per sempre
sono arsi?
Se ti ho sognata
Era per fare con te battaglia.
Perché negare una serenata
A una tenera bambina, sposata,
Che si sbaglia
Come le dritte linee magistrali
Con tutto che sai muovere le ali
E leggere il futuro nelle mani.
Sei rossa, e d'altri non hai bisogno
più.
Se ti paragonassi alla lotta armata
Certo perderebbe di grazia la serenata
Ma in questo frangente
Perché non gettarsi nel peana impertinente
Dei tuoi capelli che un giorno, per sempre
sono arsi?
martedì 24 aprile 2012
La settimana in cui avvenne la rivoluzione (ispirata alla canzone dei dodici mesi di F.Guccini)
Severo e denso come gli imprevisti
Lunedì segni l’inizio
Col tuo vociare risvegli gli artisti
Arresti dell’inerzia il vizio
Arresti dell’inerzia il vizio.
E mentre popoli i tuoi sovversivi
Di dolci presagi, s’affaccia
La massa che inganni con i furtivi
Germogli nella bisaccia.
Germogli nella bisaccia.
Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.
Martedì sei tu il giorno infinito
Pretendi e vuoi idee e cose
Indaffarato tendi il tuo lungo dito
Per pungerti colle rose.
Per pungerti colle rose.
Non molto stanco rigetti la rete
Senza avertene a male
Perché se proprio di un inizio hai sete
Già sai quasi il finale
Già sai quasi il finale.
Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.
Mercoledì il messaggero spinto
Che dà una pausa alla vita
La luna svuota il suo cesto dipinto
Per una segreta uscita
Per una segreta uscita.
È l’ottimismo dell’amore adolescente
Che sperpera presto i suoi frutti
Amami adesso e non chiedermi niente
Io sono amante di tutti
Io sono amante di tutti.
Col potere del giorno di giove
Mi ci gioco i miei versi
Di tutti i senni che Amore rimuove
Che Astolfo ce li riversi
Che Astolfo ce li riversi.
Sei come un re giovedì senzatetto
Un re che rifuggi le folle
Sei il re che aspetto, dai poeti detto
Pesi e rialzi le zolle
Pesi e rialzi le zolle.
Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.
Tu, il più leggero dandy, venerdì
Dei nottambuli sei la culla
Somigli spesso ai quadri di Dalì
Ridi ai bordi del nulla
Ridi ai bordi del nulla.
Se c’è la pioggia esci senza ombrello
O ti si rompe per strada
Per poi asciugarti di vino novello
E aspetti che il sole ricada
E aspetti che il sole ricada.
Appare sabato e i rimandi sepolcrali
Presto lasciano sazi
Tacchi di donne e luccicante viavai
Che bello dimenticarsi,
che dolce dimenticarsi.
File di sedie vecchi coi baffi lunghi
Invidiano i tuoi decori
Il tuo futuro e i velenosi funghi
Che marciano decisi là fuori
Che marciano decisi là fuori.
Poi arrivi tu domenica crudele
Sciogli le immensità
Urlando addosso ai mercanti di mele
Ti vendichi senza pietà
Ti vendichi senza pietà
La tua tranquilla gonna sottile
Gioca ancora tra i flutti
Furba ti invita a letto ma con stile
Per festeggiare i lutti
Per festeggiare i lutti.
Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.
Severo e denso come gli imprevisti
Lunedì segni l’inizio
Col tuo vociare risvegli gli artisti
Arresti dell’inerzia il vizio
Arresti dell’inerzia il vizio.
E mentre popoli i tuoi sovversivi
Di dolci presagi, s’affaccia
La massa che inganni con i furtivi
Germogli nella bisaccia.
Germogli nella bisaccia.
Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.
Martedì sei tu il giorno infinito
Pretendi e vuoi idee e cose
Indaffarato tendi il tuo lungo dito
Per pungerti colle rose.
Per pungerti colle rose.
Non molto stanco rigetti la rete
Senza avertene a male
Perché se proprio di un inizio hai sete
Già sai quasi il finale
Già sai quasi il finale.
Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.
Mercoledì il messaggero spinto
Che dà una pausa alla vita
La luna svuota il suo cesto dipinto
Per una segreta uscita
Per una segreta uscita.
È l’ottimismo dell’amore adolescente
Che sperpera presto i suoi frutti
Amami adesso e non chiedermi niente
Io sono amante di tutti
Io sono amante di tutti.
Col potere del giorno di giove
Mi ci gioco i miei versi
Di tutti i senni che Amore rimuove
Che Astolfo ce li riversi
Che Astolfo ce li riversi.
Sei come un re giovedì senzatetto
Un re che rifuggi le folle
Sei il re che aspetto, dai poeti detto
Pesi e rialzi le zolle
Pesi e rialzi le zolle.
Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.
Tu, il più leggero dandy, venerdì
Dei nottambuli sei la culla
Somigli spesso ai quadri di Dalì
Ridi ai bordi del nulla
Ridi ai bordi del nulla.
Se c’è la pioggia esci senza ombrello
O ti si rompe per strada
Per poi asciugarti di vino novello
E aspetti che il sole ricada
E aspetti che il sole ricada.
Appare sabato e i rimandi sepolcrali
Presto lasciano sazi
Tacchi di donne e luccicante viavai
Che bello dimenticarsi,
che dolce dimenticarsi.
File di sedie vecchi coi baffi lunghi
Invidiano i tuoi decori
Il tuo futuro e i velenosi funghi
Che marciano decisi là fuori
Che marciano decisi là fuori.
Poi arrivi tu domenica crudele
Sciogli le immensità
Urlando addosso ai mercanti di mele
Ti vendichi senza pietà
Ti vendichi senza pietà
La tua tranquilla gonna sottile
Gioca ancora tra i flutti
Furba ti invita a letto ma con stile
Per festeggiare i lutti
Per festeggiare i lutti.
Rit.
Luna, Marte e Mercurio
Ci prestano i loro errori
Come fatali dal cielo potessero
Governarci da fuori
Governarci da fuori
E Giove e Venere son poco o quasi niente
Se paragonati all’età
Del primo uomo che in un solo istante
Scelse la libertà
Volle la libertà.
venerdì 20 aprile 2012
Punge la vita.
Vespa di più di una notte smagrita
e il sitar
L'accompagna come una ferita
Si nasconde così, pura,
Dietro le gioconde nella calura
e, tortura,
spalma i loro nasi di frittura
Tengo per la mano
Un braccio ribellato
Di un avvocato strano
E con l'altra guido un deltaplano
O tu che leggi, sfido
La secca tua a rinnovare il grido:
Di ciò che non sia strofa io diffido
Un mondo sia di versi e di libido
Vespa di più di una notte smagrita
e il sitar
L'accompagna come una ferita
Si nasconde così, pura,
Dietro le gioconde nella calura
e, tortura,
spalma i loro nasi di frittura
Tengo per la mano
Un braccio ribellato
Di un avvocato strano
E con l'altra guido un deltaplano
O tu che leggi, sfido
La secca tua a rinnovare il grido:
Di ciò che non sia strofa io diffido
Un mondo sia di versi e di libido
mercoledì 18 aprile 2012
rivisitazione di "Riccioli d'oro e i tre orsi"
Il corpo di un enorme orso conteneva un bosco. Se lo era mangiato, un giorno che era troppo stanco per andare a caccia o a raccolta. Allora si era disteso sull'erba, aveva allargato bene la bocca e, a cominciare con il primo insetto fino all'ultima quercia, divorò tutto.
Tre api turiste, madre, padre e apina, tutte entusiaste nonappena ebbero saputo la notizia, decisero di fare i bagagli e di andare a vivere in quel bosco. I turisti adorano le cose bizzarre, e fare finta che siano stati loro a scoprirle per primi.
Per precauzione comunque, decisero di trasferirsi per qualche tempo nella bocca.
L'orso per pigrizia teneva spesso la bocca aperta, impegnato a dormire, e non le ingoiava mai, le tre api.
Così loro passavano il tempo nella costruzione della nuova graziosa casetta, alle pendici dei molari.
Aveva tutto: le tapparelle per le correnti d'aria, il tetto, la cantina, lo studio dove potevano con calma concentrarsi per ore nella masticazione del polline... C'erano persino tre letti, uno grande per papà ape, uno medio per mamma ape e l'ultimo piccolino per l'apina.
Vi si stava proprio bene, anche se del bosco si vedevano solo le cime degli alberi più alti sporgere dalla laringe.
Un giorno una bambina chiamata Riccioli d'oro e famosa per la sua curiosità passò di lì e, dato che la casetta era così bizzarra e che lei la sua ce l'aveva lontana lontana, decise di entrare.
Per fortuna le api non erano in casa, erano andate a fare rifornimento di polline lasciando così raffreddare la pappa reale che mamma ape aveva messo nel pentolone e aveva poi versato su tre tazze: una grande, una media e una piccolina.
Riccioli d'oro fece intrusione nella casa e vide subito le tre tazzine sul tavolo che sembravano attendere lei.
Bevve dalla più grande, ma la pappa reale era troppo calda. Nella media era troppo densa.
Infine quella nella tazzina più piccola era perfetta e la bevve tutta in un sorso.
Poi si sentì girare la testa e vide tre sedie: una grande, una media, una piccolina.
Le provò tutte e tre ma decise che la più piccola le andava a pennello.
La sua mossa fu troppo azzardata! Infatti la sedia piccolina si ruppe in mille pezzi sotto il suo peso.
Ora era così stanca che pensò di salire le scale e andare a dormire.
Ovviamente trovò tre letti: uno grande, uno medio e uno piccolino.
Quello grande lo trovò troppo morbido, il medio troppo duro, e il piccolo lo trovò perfetto.
Si distese e in poco tempo si addormentò.
Le api erano già alle soglie di casa, si accorsero ben presto che qualcuno aveva bevuto nelle loro tazze, che si era seduto sulle loro seggiole, che aveva dormito...Ah! Qualcuno DORMIVA nel letto dell'apina!
Papà ape ronzò più forte del solito tanto che Riccioli d'oro si credette circondata da uno stormo di api in guerra e si sveglio.
Alla vista del padre ape e della sua famiglia le scappò un grido, lasciò le lenzuola ancora calde e scappò via.
Ma non fece in tempo ad andarsene lontano, perché l'orso chiuse all'improvviso la bocca e si trovarono tutti, Riccioli d'oro e famiglia di api, imprigionati dentro il bosco incantato.
Tre api turiste, madre, padre e apina, tutte entusiaste nonappena ebbero saputo la notizia, decisero di fare i bagagli e di andare a vivere in quel bosco. I turisti adorano le cose bizzarre, e fare finta che siano stati loro a scoprirle per primi.
Per precauzione comunque, decisero di trasferirsi per qualche tempo nella bocca.
L'orso per pigrizia teneva spesso la bocca aperta, impegnato a dormire, e non le ingoiava mai, le tre api.
Così loro passavano il tempo nella costruzione della nuova graziosa casetta, alle pendici dei molari.
Aveva tutto: le tapparelle per le correnti d'aria, il tetto, la cantina, lo studio dove potevano con calma concentrarsi per ore nella masticazione del polline... C'erano persino tre letti, uno grande per papà ape, uno medio per mamma ape e l'ultimo piccolino per l'apina.
Vi si stava proprio bene, anche se del bosco si vedevano solo le cime degli alberi più alti sporgere dalla laringe.
Un giorno una bambina chiamata Riccioli d'oro e famosa per la sua curiosità passò di lì e, dato che la casetta era così bizzarra e che lei la sua ce l'aveva lontana lontana, decise di entrare.
Per fortuna le api non erano in casa, erano andate a fare rifornimento di polline lasciando così raffreddare la pappa reale che mamma ape aveva messo nel pentolone e aveva poi versato su tre tazze: una grande, una media e una piccolina.
Riccioli d'oro fece intrusione nella casa e vide subito le tre tazzine sul tavolo che sembravano attendere lei.
Bevve dalla più grande, ma la pappa reale era troppo calda. Nella media era troppo densa.
Infine quella nella tazzina più piccola era perfetta e la bevve tutta in un sorso.
Poi si sentì girare la testa e vide tre sedie: una grande, una media, una piccolina.
Le provò tutte e tre ma decise che la più piccola le andava a pennello.
La sua mossa fu troppo azzardata! Infatti la sedia piccolina si ruppe in mille pezzi sotto il suo peso.
Ora era così stanca che pensò di salire le scale e andare a dormire.
Ovviamente trovò tre letti: uno grande, uno medio e uno piccolino.
Quello grande lo trovò troppo morbido, il medio troppo duro, e il piccolo lo trovò perfetto.
Si distese e in poco tempo si addormentò.
Le api erano già alle soglie di casa, si accorsero ben presto che qualcuno aveva bevuto nelle loro tazze, che si era seduto sulle loro seggiole, che aveva dormito...Ah! Qualcuno DORMIVA nel letto dell'apina!
Papà ape ronzò più forte del solito tanto che Riccioli d'oro si credette circondata da uno stormo di api in guerra e si sveglio.
Alla vista del padre ape e della sua famiglia le scappò un grido, lasciò le lenzuola ancora calde e scappò via.
Ma non fece in tempo ad andarsene lontano, perché l'orso chiuse all'improvviso la bocca e si trovarono tutti, Riccioli d'oro e famiglia di api, imprigionati dentro il bosco incantato.
sabato 14 aprile 2012
L'incontro
II
Eccomi qua. Marocco-Milano sola andata. Durante il viaggio la gente mi guarda compassionevole, mi sono sempre fatta domande su Milano. Non sono affatto compassionevoli perché sanno la mia direzione, o il mio passato. Sono compassionevoli perché non vedono il mio viso e non vedono me, dentro.
Ma a questo mio velo ce li faccio abituare io...Non è facile abitare un corpo di donna e il mio, anche se coperto, lo abito orgogliosamente.
Non abbiamo particolari problemi in patria, perlomento la mia famiglia. Ancora delle persone pensano che il marito possa maltrattare la moglie, che la donna non dovrebbe mai chiedere il divorzio, ma non è il caso di casa mia, per fortuna.
Ho voluto l'Italia perché le mie amiche sono andate in Francia e a me non andava per nulla. Sin dall'infanzia il francese parlato a scuola non mi ispirava niente di buono. Una lingua di carta, ecco.
All'inizio pensavo che mi guardassero così per via di Milano. Mi sono detta: "Ma è una città così terribile? Perché hanno tutti un viso da funerale?" Poi mi sono resa conto che avevo qualcosa di più vistoso del mio viaggio: il velo. Lo vedono come il lutto della mia femminilità. Forse vale così per le altre, io sono diversa.
Non che per essere diversi ci sia bisogno di un velo. Sotto il velo ho studiato anche filosofia e mi sono ficcata in testa cose per niente sane, lo so.
Per esempio Milano, non la vedo come una brutta città. Riserva sorprese la sua bellezza casuale, i suoi scorci caldi nel grigio.
Niente a che vedere con il Marocco, certo, la terra dei miei padri, lucente e ricca, ricca come mai me ne ero resa conto prima.
Qui nelle facce riesco solo a vedere la strafottenza dei paesi europei, la luce dei negozi uguali dappertutto, le pance piene e soddisfatte di chi non immagina più molto diverso né se stesso né la propria città né il mondo.
Quando si sta troppo bene alcune facoltà si addormentano, quando altri cominciano a invidiarti la nazionalità sei fritto, dal tuo piedistallo infiocchettato di stupide bandiere non ti smuovi più.
Lo so, vi lascio la bandiera, mi tengo il velo. A ognuno il suo. Ma non vorrete dirmi che girare con il velo è altrettanto vistoso che distribuire le proprie foto semi-nuda su un social network? Prima di voler ficcare il dito nel mio velo pulitevi la suola delle scarpe.
Un ragazzo seduto di fronte a me si alza, si guarda intorno alternativamente in ogni direzione. Mi dice, in un vero tono da sbruffone:
- E' sola signorina?
- Sì che sono sola. - rispondo - Che vuole? - non mi sono mai piaciuti gli intermezzi retorici e non mi sembra il tipo da offendersi. Probabilmente si sarebbe sentito stuzzicato.
- Ah.....fiuu...bene. Volevo parlare con lei e non sapevo se avessi il permesso.
- Ho il velo ma non sono prigioniera!
Il ragazzo ha l'aria semplicemente incuriosita, e un fare disinvolto che ho visto in qualche vecchio film italiano.
- Io sono Salvatore, lei come si chiama?
- Milena - rispondo.
- Ha l'aria d'essere molto giovane, è così?
Sono come incandescente, deve essere uno stregone o il viaggio ha funzionato nella mia mente come ingresso verso nuove dimensioni; fatto sta che, stanca e con i sensi bene attenti, non mi sento per niente infastidita da quest'incontro.
- Ho 18 anni.
Che strano profumo emana! Il profumo di una specie umana nuova, unita alla spavalderia così familiare del mercato di Marrakech.
La navetta si ferma e dobbiamo prendere i bagagli e uscire, il più in fretta possibile, a giudicare dal ritmo della folla.
Non voglio però perdere questa mia prima conoscenza, gli dico:
- Sono diretta a questo indirizzo, possiamo vederci a volte, scrivimi.
Salvatore prende il foglio in mano con evidente stupore, rimane fermo e mi guarda.
Per davvero non so quale follia mi abbia preso, ho lasciato il Marocco e anche un po' la me marocchina, sono una marziana e le persone sono come corvi che si appoggino sulle mie braccia.
Amo questa sensazione, e spero tanto che quei corvi non comincino anche a cibarsi di me, prima o poi.
Eccomi qua. Marocco-Milano sola andata. Durante il viaggio la gente mi guarda compassionevole, mi sono sempre fatta domande su Milano. Non sono affatto compassionevoli perché sanno la mia direzione, o il mio passato. Sono compassionevoli perché non vedono il mio viso e non vedono me, dentro.
Ma a questo mio velo ce li faccio abituare io...Non è facile abitare un corpo di donna e il mio, anche se coperto, lo abito orgogliosamente.
Non abbiamo particolari problemi in patria, perlomento la mia famiglia. Ancora delle persone pensano che il marito possa maltrattare la moglie, che la donna non dovrebbe mai chiedere il divorzio, ma non è il caso di casa mia, per fortuna.
Ho voluto l'Italia perché le mie amiche sono andate in Francia e a me non andava per nulla. Sin dall'infanzia il francese parlato a scuola non mi ispirava niente di buono. Una lingua di carta, ecco.
All'inizio pensavo che mi guardassero così per via di Milano. Mi sono detta: "Ma è una città così terribile? Perché hanno tutti un viso da funerale?" Poi mi sono resa conto che avevo qualcosa di più vistoso del mio viaggio: il velo. Lo vedono come il lutto della mia femminilità. Forse vale così per le altre, io sono diversa.
Non che per essere diversi ci sia bisogno di un velo. Sotto il velo ho studiato anche filosofia e mi sono ficcata in testa cose per niente sane, lo so.
Per esempio Milano, non la vedo come una brutta città. Riserva sorprese la sua bellezza casuale, i suoi scorci caldi nel grigio.
Niente a che vedere con il Marocco, certo, la terra dei miei padri, lucente e ricca, ricca come mai me ne ero resa conto prima.
Qui nelle facce riesco solo a vedere la strafottenza dei paesi europei, la luce dei negozi uguali dappertutto, le pance piene e soddisfatte di chi non immagina più molto diverso né se stesso né la propria città né il mondo.
Quando si sta troppo bene alcune facoltà si addormentano, quando altri cominciano a invidiarti la nazionalità sei fritto, dal tuo piedistallo infiocchettato di stupide bandiere non ti smuovi più.
Lo so, vi lascio la bandiera, mi tengo il velo. A ognuno il suo. Ma non vorrete dirmi che girare con il velo è altrettanto vistoso che distribuire le proprie foto semi-nuda su un social network? Prima di voler ficcare il dito nel mio velo pulitevi la suola delle scarpe.
Un ragazzo seduto di fronte a me si alza, si guarda intorno alternativamente in ogni direzione. Mi dice, in un vero tono da sbruffone:
- E' sola signorina?
- Sì che sono sola. - rispondo - Che vuole? - non mi sono mai piaciuti gli intermezzi retorici e non mi sembra il tipo da offendersi. Probabilmente si sarebbe sentito stuzzicato.
- Ah.....fiuu...bene. Volevo parlare con lei e non sapevo se avessi il permesso.
- Ho il velo ma non sono prigioniera!
Il ragazzo ha l'aria semplicemente incuriosita, e un fare disinvolto che ho visto in qualche vecchio film italiano.
- Io sono Salvatore, lei come si chiama?
- Milena - rispondo.
- Ha l'aria d'essere molto giovane, è così?
Sono come incandescente, deve essere uno stregone o il viaggio ha funzionato nella mia mente come ingresso verso nuove dimensioni; fatto sta che, stanca e con i sensi bene attenti, non mi sento per niente infastidita da quest'incontro.
- Ho 18 anni.
Che strano profumo emana! Il profumo di una specie umana nuova, unita alla spavalderia così familiare del mercato di Marrakech.
La navetta si ferma e dobbiamo prendere i bagagli e uscire, il più in fretta possibile, a giudicare dal ritmo della folla.
Non voglio però perdere questa mia prima conoscenza, gli dico:
- Sono diretta a questo indirizzo, possiamo vederci a volte, scrivimi.
Salvatore prende il foglio in mano con evidente stupore, rimane fermo e mi guarda.
Per davvero non so quale follia mi abbia preso, ho lasciato il Marocco e anche un po' la me marocchina, sono una marziana e le persone sono come corvi che si appoggino sulle mie braccia.
Amo questa sensazione, e spero tanto che quei corvi non comincino anche a cibarsi di me, prima o poi.
Prologo
I
La grancassa metropolitana batté anche quel giorno per me il suo ritmo consenziente. L'autobus, unico essere a dissentire, serpeggiò fuori dalla portata di una decina di ragazzi che l'avevano perso bighellonando. I ragazzi correvano, l'autobus chiudeva le porte. I ragazzi correvano, l'autobus partiva. I ragazzi correvano, l'autobus se ne andava avanti. I ragazzi correvano, l'autobus se ne andava lontano. I passeggeri dell'autobus esultavano davanti alla faccia furiosa degli orfani-di-autobus, fuori.
- Tiè!!! - pensavano. L'autobus era perso.
Oppure non pensavano niente come me, che toccavo la gamba di Milena spostandole la gonna. La gamba era gelida, così gelida da spezzare ogni sortilegio. Ma le tirai su leggermente la gonna per far sì che il sole la scaldasse un po'.
Lei mi guardò con quegli occhi che avevano bisogno delle ciglia per passare dalla faccia che credeva lei alla faccia che volevo io.
Tutto era perfetto. Le sue gambe erano ancora gelate, si sarebbe detto che fosse una morta, se non fossi stato sicuro del mio presente, del mio gusto, e del mio ardore per lei. Le scalai la schiena con le dita.
Tutto sembrerebbe così facile ma, sapendo come ci siamo incontrati io e Milena, si capisce che non lo è.
I passeggeri pensavano - Tiè!!! - io toccavo la sua gamba gelata, poi lei si mise a parlare al telefono.
La grancassa metropolitana batté anche quel giorno per me il suo ritmo consenziente. L'autobus, unico essere a dissentire, serpeggiò fuori dalla portata di una decina di ragazzi che l'avevano perso bighellonando. I ragazzi correvano, l'autobus chiudeva le porte. I ragazzi correvano, l'autobus partiva. I ragazzi correvano, l'autobus se ne andava avanti. I ragazzi correvano, l'autobus se ne andava lontano. I passeggeri dell'autobus esultavano davanti alla faccia furiosa degli orfani-di-autobus, fuori.
- Tiè!!! - pensavano. L'autobus era perso.
Oppure non pensavano niente come me, che toccavo la gamba di Milena spostandole la gonna. La gamba era gelida, così gelida da spezzare ogni sortilegio. Ma le tirai su leggermente la gonna per far sì che il sole la scaldasse un po'.
Lei mi guardò con quegli occhi che avevano bisogno delle ciglia per passare dalla faccia che credeva lei alla faccia che volevo io.
Tutto era perfetto. Le sue gambe erano ancora gelate, si sarebbe detto che fosse una morta, se non fossi stato sicuro del mio presente, del mio gusto, e del mio ardore per lei. Le scalai la schiena con le dita.
Tutto sembrerebbe così facile ma, sapendo come ci siamo incontrati io e Milena, si capisce che non lo è.
I passeggeri pensavano - Tiè!!! - io toccavo la sua gamba gelata, poi lei si mise a parlare al telefono.
martedì 10 aprile 2012
Chi mi ha rubato la marmellata
Io non lo so.
Chi mi ha rubato la marmellata?
L'ho visto, era dietro la moka del caffè
Faceva tutti giorni lo stesso movimento.
Era mio marito.
Oppure era il giorno che mi sono addormentata
appallottolata con delle parole orfane tra le dita
E' uscito fuori dal mio libro
Era il mio autore preferito.
Son sicura, mi ha fregato
Quando più mi mostrai debole
E col vento l'ha afferrata
La mia marmellata.
Era la vicina assatanata.
Quella sempre stressata
Che non vuole che profumi il vicinato
Con la marmellata.
D'ora in poi l'ho issata
Sopra la mensola e con la canna da pesca
Vedremo un po' di scoprire
La libidinosa tresca
Che mi insegue prima di dormire
Dopo una lunga lunga giornata
Io non lo so
Chi mi ha rubato la marmellata.
Chi mi ha rubato la marmellata?
L'ho visto, era dietro la moka del caffè
Faceva tutti giorni lo stesso movimento.
Era mio marito.
Oppure era il giorno che mi sono addormentata
appallottolata con delle parole orfane tra le dita
E' uscito fuori dal mio libro
Era il mio autore preferito.
Son sicura, mi ha fregato
Quando più mi mostrai debole
E col vento l'ha afferrata
La mia marmellata.
Era la vicina assatanata.
Quella sempre stressata
Che non vuole che profumi il vicinato
Con la marmellata.
D'ora in poi l'ho issata
Sopra la mensola e con la canna da pesca
Vedremo un po' di scoprire
La libidinosa tresca
Che mi insegue prima di dormire
Dopo una lunga lunga giornata
Io non lo so
Chi mi ha rubato la marmellata.
lunedì 9 aprile 2012
venerdì 23 marzo 2012
Ciò che tutti sentono
Il mal di denti
è cosa che tu senti
Ma dentro la mia testa
Un pensiero mi si innesta.
Allora non sei tu, perché non sono io.
Non tutti lo risentono
Perciò tende all'oblio.
Son io l'errore, son io.
Ancora il mal di denti è un male fisico
Riporta alla madre, da tutti è sentito
Si lega alla parola, ma senza parola è udito.
Invece non c'è dolore
Al di fuori di quelli da guarire
Col cortisone.
Non siamo mai capiti
Quando non c'è scienza che ci citi.
E allor mi dico fanculo la tristezza
Perché non ti accontenti
del mal di denti?
è cosa che tu senti
Ma dentro la mia testa
Un pensiero mi si innesta.
Allora non sei tu, perché non sono io.
Non tutti lo risentono
Perciò tende all'oblio.
Son io l'errore, son io.
Ancora il mal di denti è un male fisico
Riporta alla madre, da tutti è sentito
Si lega alla parola, ma senza parola è udito.
Invece non c'è dolore
Al di fuori di quelli da guarire
Col cortisone.
Non siamo mai capiti
Quando non c'è scienza che ci citi.
E allor mi dico fanculo la tristezza
Perché non ti accontenti
del mal di denti?
venerdì 16 marzo 2012
Salsa di soia
Tu conservi la tua gonna nera
Stai seduta sullo scaffale
Tiepida.
In attesa d'esser gettata sul riso.
Le tue macchie sono occhi
I tuoi fondi sono il tramonto
Che macchia il vetro del sogno.
Stai seduta sullo scaffale
Tiepida.
In attesa d'esser gettata sul riso.
Le tue macchie sono occhi
I tuoi fondi sono il tramonto
Che macchia il vetro del sogno.
Cantico
Addio sentiero tigrato della dolcezza
Tu certo sei una malattia della mente
Riportami al tiepido animale
Al suo podestare.
Lasciami alla poesia malandrina
A tutto quello che si annoia e sconfina
Timidami solo del miroir apocalittico
Adombrami le fattezze umane
Sibili altri inferni e spari
Finché dovrete parole riesumare.
Sacrificarvi a questi altari.
Tu certo sei una malattia della mente
Riportami al tiepido animale
Al suo podestare.
Lasciami alla poesia malandrina
A tutto quello che si annoia e sconfina
Timidami solo del miroir apocalittico
Adombrami le fattezze umane
Sibili altri inferni e spari
Finché dovrete parole riesumare.
Sacrificarvi a questi altari.
Assalto
Spensierami e ti spargo
Attenta a non toccarti
Assumimi e ti assalgo
Con truppe artriti ed arti.
Colorami le tempie
Tempurami le anche
Con lo sgarbato irriguardo.
Non sarà il solito siero
A allontanarti.
Attenta a non toccarti
Assumimi e ti assalgo
Con truppe artriti ed arti.
Colorami le tempie
Tempurami le anche
Con lo sgarbato irriguardo.
Non sarà il solito siero
A allontanarti.
mercoledì 14 marzo 2012
Città di vita
Firenze
Filando le assenze
Respiro le tue essenze
Comprate in erboristeria
Quando la tua casa
Che, oh calda e ferroviaria brezza,
Era la mia.
Come una macchia di rosso
Non va quasi via.
Dopo lezioni, anche in piazza
I campanelli che non fanno male
Quei due gradini, e avere il sole in mano.
Parlo quel tuo accento « inutile » e fatale :
L'italiano.
Palermo
Un cedro comprato per strada.
Un frutto pieno di folle succo
Senza noccioli duri
Da lanciare con un calcio.
Solo doni,
Anche la buccia si mangia.
Milano
Ormai
Sogna di prati e distese
Tu sei seduto su una colonna
Guardi Milano marciare
Troppo tardi:
Non la segui già più.
Forse da qualche parte verso la direzione del mare
Vivono ancora Milano sincere
Con una buona stagione teatrale.
Beatrici, dalle distanze ingannatrici
In fondo mi ci sono affezionata
Come a una cicatrice avuta da bambina.
Come quando ancora non c'ero mai stata
E sognavo la maturità vicina.
Parigi
Qui ci sono i miei simili
Passano per strada lanciandomi segnali
E ci si guarda, abbiamo gli occhi uguali
La stessa porpora alle guance
Ci diciamo:
"Parigi!"
E poi bando alle ciance. Camminiamo.
Perché quel nome da amor decadente
Continua a vivere e non rima con niente.
Filando le assenze
Respiro le tue essenze
Comprate in erboristeria
Quando la tua casa
Che, oh calda e ferroviaria brezza,
Era la mia.
Come una macchia di rosso
Non va quasi via.
Dopo lezioni, anche in piazza
I campanelli che non fanno male
Quei due gradini, e avere il sole in mano.
Parlo quel tuo accento « inutile » e fatale :
L'italiano.
Palermo
Un cedro comprato per strada.
Un frutto pieno di folle succo
Senza noccioli duri
Da lanciare con un calcio.
Solo doni,
Anche la buccia si mangia.
Milano
Ormai
Sogna di prati e distese
Tu sei seduto su una colonna
Guardi Milano marciare
Troppo tardi:
Non la segui già più.
Forse da qualche parte verso la direzione del mare
Vivono ancora Milano sincere
Con una buona stagione teatrale.
Beatrici, dalle distanze ingannatrici
In fondo mi ci sono affezionata
Come a una cicatrice avuta da bambina.
Come quando ancora non c'ero mai stata
E sognavo la maturità vicina.
Parigi
Qui ci sono i miei simili
Passano per strada lanciandomi segnali
E ci si guarda, abbiamo gli occhi uguali
La stessa porpora alle guance
Ci diciamo:
"Parigi!"
E poi bando alle ciance. Camminiamo.
Perché quel nome da amor decadente
Continua a vivere e non rima con niente.
Strano e vero :
Ora che non sei mio
Scrivo e ti cullo, ti custodisco
So che sei sempre tu
Ora che non sei mio
il più bello dei pensieri.
Sei qui che ne fai parte.
Tu mi osteggi ed io ti ho
Finalmente.
Ti ammiro come un rivo
Come una quercia o un pianeta.
Corro alla tua fonte e schivo
Il soffrire di me segreta.
Non voglio altro, solo che tu sia lì
Per sempre dentro un'eco di primavera.
Più mi cancellerai e meno sarò me.
Ma cosa importa ? Non è mai interessante
Vivere nel ricordo che si ha di te.
Vivo a parte ma ti scrivo
E tutto è leggero come il tuo sorriso.
Di giorno in giorno sarò me ancora
La me che un giorno esaltasti
Le mie vene continuano a scaldarsi
Il tuo sguardo che ricordo guardare avanti
Senza più guardarmi.
Nelle emozioni sarò ancora più me
La loro forza di redenzione mi attarda
Come una vecchia maliarda
Ma lontano e senza parola né seme.
Nella pace di nulla:
Mi salvo dalla guerra di tutto.
Ora che non sei mio
Scrivo e ti cullo, ti custodisco
So che sei sempre tu
Ora che non sei mio
il più bello dei pensieri.
Sei qui che ne fai parte.
Tu mi osteggi ed io ti ho
Finalmente.
Ti ammiro come un rivo
Come una quercia o un pianeta.
Corro alla tua fonte e schivo
Il soffrire di me segreta.
Non voglio altro, solo che tu sia lì
Per sempre dentro un'eco di primavera.
Più mi cancellerai e meno sarò me.
Ma cosa importa ? Non è mai interessante
Vivere nel ricordo che si ha di te.
Vivo a parte ma ti scrivo
E tutto è leggero come il tuo sorriso.
Di giorno in giorno sarò me ancora
La me che un giorno esaltasti
Le mie vene continuano a scaldarsi
Il tuo sguardo che ricordo guardare avanti
Senza più guardarmi.
Nelle emozioni sarò ancora più me
La loro forza di redenzione mi attarda
Come una vecchia maliarda
Ma lontano e senza parola né seme.
Nella pace di nulla:
Mi salvo dalla guerra di tutto.
sabato 25 febbraio 2012
resto
I miei ritmi sono sfaldati, i miei occhi si sfuocano. Trovo ispirazione ormai solo nel subconscio di ogni notte. Sarà solo un periodo? Sarà per sempre?
Mi chiedo che parte mi tocchi del dolore universale. Se devi schiantare, schianta per bene.
Non sorridermi e non darmi più il tuo pane.
Soffio soffio e non spengo più candele. Segno che la mia vita è finita. Soffio soffio. Semplice vuoto trasparente fiato mi resta.
Mi chiedo che parte mi tocchi del dolore universale. Se devi schiantare, schianta per bene.
Non sorridermi e non darmi più il tuo pane.
Soffio soffio e non spengo più candele. Segno che la mia vita è finita. Soffio soffio. Semplice vuoto trasparente fiato mi resta.
giovedì 23 febbraio 2012
guerre odierne
Sgocciola parola sgradevole
Parola nevrastenica
Che vedo tutta unita.
Sgocciola pura ideologia
Non sa distinguere
Una grande pozzanghera assoluta.
Sgocciola il mito e il fieno
Per cavalli troppo miti
Sgocciola il fascio di crisantemi
Per corridori troppo chiassosi
E in tutto questo si impara poco
Si soffiano boccacce al vento
Perché possa riconsegnarle alla storia
Di porpora un occhio staccato.
Parola nevrastenica
Che vedo tutta unita.
Sgocciola pura ideologia
Non sa distinguere
Una grande pozzanghera assoluta.
Sgocciola il mito e il fieno
Per cavalli troppo miti
Sgocciola il fascio di crisantemi
Per corridori troppo chiassosi
E in tutto questo si impara poco
Si soffiano boccacce al vento
Perché possa riconsegnarle alla storia
Di porpora un occhio staccato.
venerdì 17 febbraio 2012
Nel mio vivaio
Nella mia società
Nel mio vivaio
Siam molti come formiche
Dentro un acquario.
I morti somiglian già
A pezzi d'antiquario
E scoppia la mia città
Stringendo un rosario.
Il buono è che siamo uniti
come un calendario
Appesi al chiodo dei miti
Svuotiamo il solaio
Chi cerca la propria via
Non pensa al saio
Ma bazzica nei dintorni
Di un tabaccaio.
Nella mia società
Nel mio vivaio
Siam molti come formiche
Dentro un acquario.
I morti somiglian già
A eserciti di Dario
Contro la realtà
E per l'immaginario.
Là là là là là là
Nel mio vivaio
Là là là là là là
Vivo al contrario.
Nel mio vivaio
Siam molti come formiche
Dentro un acquario.
I morti somiglian già
A pezzi d'antiquario
E scoppia la mia città
Stringendo un rosario.
Il buono è che siamo uniti
come un calendario
Appesi al chiodo dei miti
Svuotiamo il solaio
Chi cerca la propria via
Non pensa al saio
Ma bazzica nei dintorni
Di un tabaccaio.
Nella mia società
Nel mio vivaio
Siam molti come formiche
Dentro un acquario.
I morti somiglian già
A eserciti di Dario
Contro la realtà
E per l'immaginario.
Là là là là là là
Nel mio vivaio
Là là là là là là
Vivo al contrario.
domenica 12 febbraio 2012
"Cara, se mi amassi...Ma no, no, che non ti amasso."
Ti amo.
Innesto un amo dentro di te.
Poi, quando tu già ne parli in giro
Ti lascio, e mi assopisco.
I fiati della vita non sono per la mia bocca.
Difficile abituarsi a questo quando si sente
Ciò che tutti sentono.
Innesto un amo dentro di te.
Poi, quando tu già ne parli in giro
Ti lascio, e mi assopisco.
I fiati della vita non sono per la mia bocca.
Difficile abituarsi a questo quando si sente
Ciò che tutti sentono.
sabato 11 febbraio 2012
venerdì 10 febbraio 2012
Poème du canal qui court
Je marche tout au long du canal
Et l'eau marche autant que
moi, parce que le vent pousse les deux.
Et les grains de poussière
roulent et le temps.
Tout est lié.
Je suis et je suis.
Et l'eau marche autant que
moi, parce que le vent pousse les deux.
Et les grains de poussière
roulent et le temps.
Tout est lié.
Je suis et je suis.
mercoledì 1 febbraio 2012
Avventure dentro un corpo
Caduta dentro un corpo
(A Gianluca)
Da tempo abitavo
In una casetta nasale sull'orlo di un dirupo
Un giorno mentre davo la cera
E costruivo pennelli coi peli di naso
Scivolai, e caddi.
Poche erano, ohimè, le probabilità di salvezza
Bastava uno sbadiglio,
E sarei caduta nel mio corpo.
Così avvenne, o forse avevo lasciata la bocca
Aperta per distrazione, o per dire poesie.
Fatto sta che caddi proprio nell'ugola.
Quando ritornai in me ero circondata
Da pareti di stomaco belle da dipingere.
I suoni erano cambiati, le luci mi facevano
Rimpiangere le tonalità pastello.
Salii sui bronchi e vidi che erano pieni di oracoli
Parlano sempre, quelli.
Poi discesi all'ombelico, un roseo orizzonte
E, in fondo, un lumino, come di luna.
Una volta c'era una corda, chissà perché l'avevano levata.
Intanto il mio corpo senza di me
Faceva un po' quello che capitava.
Mi ci abituai tanto che perdei me stessa.
Ad oggi riesco appena qualche volta ad affacciarmi dagli occhi
Come vedere una città dall'autobus.
Avventura sul corpo II (esterno)
Camminai tanto sulle scale mobili delle vene
E tanto rimboccai le coperte a ghiandole, presi a pugni bacilli
Che riconquistai il naso.
Da lì era di nuovo la guerra: dentro, o fuori?
Decisi dato che c'ero di uscire
Anche se temevo che il mio corpo
Ne sarebbe stato sconcertato.
Come un ebete a funzionare senza di me.
E poi io, lì fuori, così piccola,
Sarei stato il buono pasto del piccione.
Poco importava, presi lo slancio
E planai sull'ascella, foresta accogliente.
Ecco dove costruiremo una città. Mi dissi.
Ma seguii il letto del fiume fino al primo segno di anca.
Troppe ebrezze per un giorno solo:
Presi un tè sopra a un malleolo
E il collo del piede mi fu amaca.
(A Gianluca)
Da tempo abitavo
In una casetta nasale sull'orlo di un dirupo
Un giorno mentre davo la cera
E costruivo pennelli coi peli di naso
Scivolai, e caddi.
Poche erano, ohimè, le probabilità di salvezza
Bastava uno sbadiglio,
E sarei caduta nel mio corpo.
Così avvenne, o forse avevo lasciata la bocca
Aperta per distrazione, o per dire poesie.
Fatto sta che caddi proprio nell'ugola.
Quando ritornai in me ero circondata
Da pareti di stomaco belle da dipingere.
I suoni erano cambiati, le luci mi facevano
Rimpiangere le tonalità pastello.
Salii sui bronchi e vidi che erano pieni di oracoli
Parlano sempre, quelli.
Poi discesi all'ombelico, un roseo orizzonte
E, in fondo, un lumino, come di luna.
Una volta c'era una corda, chissà perché l'avevano levata.
Intanto il mio corpo senza di me
Faceva un po' quello che capitava.
Mi ci abituai tanto che perdei me stessa.
Ad oggi riesco appena qualche volta ad affacciarmi dagli occhi
Come vedere una città dall'autobus.
Avventura sul corpo II (esterno)
Camminai tanto sulle scale mobili delle vene
E tanto rimboccai le coperte a ghiandole, presi a pugni bacilli
Che riconquistai il naso.
Da lì era di nuovo la guerra: dentro, o fuori?
Decisi dato che c'ero di uscire
Anche se temevo che il mio corpo
Ne sarebbe stato sconcertato.
Come un ebete a funzionare senza di me.
E poi io, lì fuori, così piccola,
Sarei stato il buono pasto del piccione.
Poco importava, presi lo slancio
E planai sull'ascella, foresta accogliente.
Ecco dove costruiremo una città. Mi dissi.
Ma seguii il letto del fiume fino al primo segno di anca.
Troppe ebrezze per un giorno solo:
Presi un tè sopra a un malleolo
E il collo del piede mi fu amaca.
martedì 31 gennaio 2012
Dolore
Lazzaro ti ho forse risorto!
Tornatene dentro, qui c'è ricevimento
Tornatene nascosto, qui c'è vento.
Osare tornare, e che cosa faccio
Con i mille elefanti rosa
Che ci sono in salotto?
Mica te li posso ridare.
Tornatene nel corpo
Non vedi che sei da solo?
Non ti basta il mio luna-park
Mi vuoi rovinare gli occhi?
Vasche e vascelli di pianto
Cucchiai di notti saltate
Chilometri di cortine abbassate
Per poterti tenere per sempre.
Capisco che dentro di me
Non sia bello come t'aspettavi
Ma da lì a uscire senza preavviso
Come osi presentarti qui!
E con le ossa come le mie
Camminare, alzare un braccio contro di me
Poi come il passato di una città gloriosa
colpirmi le palpebre.
Allontanati, che io possa camminare.
Prendere la rincorsa e mangiarti.
Scappa, perché se ti rivedo
Asciugarmi le lacrime con un dito
Ti condanno di nuovo al presente.
Tornatene dentro, qui c'è ricevimento
Tornatene nascosto, qui c'è vento.
Osare tornare, e che cosa faccio
Con i mille elefanti rosa
Che ci sono in salotto?
Mica te li posso ridare.
Tornatene nel corpo
Non vedi che sei da solo?
Non ti basta il mio luna-park
Mi vuoi rovinare gli occhi?
Vasche e vascelli di pianto
Cucchiai di notti saltate
Chilometri di cortine abbassate
Per poterti tenere per sempre.
Capisco che dentro di me
Non sia bello come t'aspettavi
Ma da lì a uscire senza preavviso
Come osi presentarti qui!
E con le ossa come le mie
Camminare, alzare un braccio contro di me
Poi come il passato di una città gloriosa
colpirmi le palpebre.
Allontanati, che io possa camminare.
Prendere la rincorsa e mangiarti.
Scappa, perché se ti rivedo
Asciugarmi le lacrime con un dito
Ti condanno di nuovo al presente.
domenica 29 gennaio 2012
Ambrosia
Troppa ambrosia nel mio cestino
Scivola via nel prossimo mattino
Mentre ricordo, mentre il cielo cala
Porto corolle al sistema che si ammala
Alla sua tomba porto ali di porco
Al suo mistero un cinema esala
Le sue porte nelle quali mi ritorco
Come un sornione libretto di sala.
Guardo negli occhi, frusto il lettore
Che lì tranquillo con il fegato in mano
Vorrebbe il tetano della notte che muore,
Farsi fregare dal primo ciarlatano.
Vorrebbe i versi eseguire il dovere
Per il quale son nati:
Come incoscienti petali affilati
Seguire il feretro di ciò che muore.
Ma troppa ambrosia è nel mio cestino
Si sa, niente poesia nell'abbondanza
Non mi resta del tuo tè che il colino
Ma profuma ancora della tua stanza.
Scivola via nel prossimo mattino
Mentre ricordo, mentre il cielo cala
Porto corolle al sistema che si ammala
Alla sua tomba porto ali di porco
Al suo mistero un cinema esala
Le sue porte nelle quali mi ritorco
Come un sornione libretto di sala.
Guardo negli occhi, frusto il lettore
Che lì tranquillo con il fegato in mano
Vorrebbe il tetano della notte che muore,
Farsi fregare dal primo ciarlatano.
Vorrebbe i versi eseguire il dovere
Per il quale son nati:
Come incoscienti petali affilati
Seguire il feretro di ciò che muore.
Ma troppa ambrosia è nel mio cestino
Si sa, niente poesia nell'abbondanza
Non mi resta del tuo tè che il colino
Ma profuma ancora della tua stanza.
domenica 22 gennaio 2012
A oggi
Non mi piacciono le realtà già pronte
Mi piacciono quelle che devi cucire
E rattoppare.
Amo l'odore del vestiario usato
La domenica del mercato.
E le puzze che porta il vento
Perché son sempre cambiamento.
Non mi piaccion le maglie dei gruppi
Fatte invecchiare apposta
E lo chic radical moderno
Dell'eroismo senza gesta.
Non mi piace l'incoscienza
Del mio male e l'anestesia né
l'inconsistenza del parlare.
Non mi piace rinchiudermi in casa mia
dove tuttavia vorrei restare.
Non mi piace l'assenteismo dei professori universitari
Né tantomeno il presenzialismo dei militari.
Mi piace l'eccezione nella convinzione
E osservare un grosso scimmione
Così agile attraversare
La gabbia piccolina.
Per poi coprirsi la testa di paglia
e godersi la sua privacy.
Mi piacciono quelle che devi cucire
E rattoppare.
Amo l'odore del vestiario usato
La domenica del mercato.
E le puzze che porta il vento
Perché son sempre cambiamento.
Non mi piaccion le maglie dei gruppi
Fatte invecchiare apposta
E lo chic radical moderno
Dell'eroismo senza gesta.
Non mi piace l'incoscienza
Del mio male e l'anestesia né
l'inconsistenza del parlare.
Non mi piace rinchiudermi in casa mia
dove tuttavia vorrei restare.
Non mi piace l'assenteismo dei professori universitari
Né tantomeno il presenzialismo dei militari.
Mi piace l'eccezione nella convinzione
E osservare un grosso scimmione
Così agile attraversare
La gabbia piccolina.
Per poi coprirsi la testa di paglia
e godersi la sua privacy.
sabato 21 gennaio 2012
Il non detto
Non farne a meno.
Non posso farci niente
è saggio il suono della tua voce
è saggio il toccare dei tuoi palmi
è saggio il sospirare dei tuoi fruscii
è saggio lo assaggio sa di noi
E solo a chi dedico il suono
Dei, tuoi occhi...caduti sulle mani
Rotolano lungo i polsi
E abbracciano l'addormentata.
Che sogna, già, ancora, perché smettere?
Perché rivolgersi ad altri che a te.
Tutto quello che non diciamo rimane
E non se ne può fare a meno.
è saggio il suono della tua voce
è saggio il toccare dei tuoi palmi
è saggio il sospirare dei tuoi fruscii
è saggio lo assaggio sa di noi
E solo a chi dedico il suono
Dei, tuoi occhi...caduti sulle mani
Rotolano lungo i polsi
E abbracciano l'addormentata.
Che sogna, già, ancora, perché smettere?
Perché rivolgersi ad altri che a te.
Tutto quello che non diciamo rimane
E non se ne può fare a meno.
sabato 14 gennaio 2012
Che siano per te
Che siano per te pulcino
Questa valanga di rondini
Che resistano il cammino
Tra carrozze ed aeromobili
Non c'è più scelta: si vive
Il cuore non dà scampo
E la benedizione di chi scrive
Ti sia feconda come il foglio bianco.
Questa valanga di rondini
Che resistano il cammino
Tra carrozze ed aeromobili
Non c'è più scelta: si vive
Il cuore non dà scampo
E la benedizione di chi scrive
Ti sia feconda come il foglio bianco.
lunedì 2 gennaio 2012
Se ci si sente niente
Vattene tenerezza delle stagioni.
Col mio soffrire dal fondo normale
Ma la superficie particolare.
Doppia è la punta e doppie le griglie
Che usa l'artista per i suoi dipinti
E disegnandoci ci ha "estinti".
Nel dolore non spero più
Come fonte di virtù.
Nostalgia numero cinque
Mi congratulo con lei, ne
Ha collezionata un'altra.
Da una parte e dall'altra
Come una puttana.
L'unica cosa che cambia
sono io
Col mio soffrire dal fondo normale
Ma la superficie particolare.
Ora odio tutti i diari
vedo grame cose
La sera non è serena
Aggrappata al blu del muro
Che fa eco al grigio cielo
Ecco come un arrondissement
Rattoppa le ferite.
Ma vedo ancora alla stazione
Quel precario arrivederci
E mi sento niente di fronte all'attesa
D'una testa amica.
Batto i piedi e tolgo questa neve
Che tu non conoscerai mai.
Col mio soffrire dal fondo normale
Ma la superficie particolare.
Doppia è la punta e doppie le griglie
Che usa l'artista per i suoi dipinti
E disegnandoci ci ha "estinti".
Nel dolore non spero più
Come fonte di virtù.
Nostalgia numero cinque
Mi congratulo con lei, ne
Ha collezionata un'altra.
Da una parte e dall'altra
Come una puttana.
L'unica cosa che cambia
sono io
Col mio soffrire dal fondo normale
Ma la superficie particolare.
Ora odio tutti i diari
vedo grame cose
La sera non è serena
Aggrappata al blu del muro
Che fa eco al grigio cielo
Ecco come un arrondissement
Rattoppa le ferite.
Ma vedo ancora alla stazione
Quel precario arrivederci
E mi sento niente di fronte all'attesa
D'una testa amica.
Batto i piedi e tolgo questa neve
Che tu non conoscerai mai.
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